Descrizione
Tra la Corsica e la Sardegna, tra la Toscana e la Costa Azzurra, si stende un mare di vetro, e di avventure. Una di queste ce la racconta ora Alessandro Angeli, e ci porta – attraverso carceri e pinete, traversate, traghetti, taverne e case di studentesse – sulle tracce del suo eroe. Tiu, eroe perduto e perdente, nato per l’anonimato e poi membro dell’Anonima, ribelle per indole e per sorte. Scappa Tiu, fugge da quello che non può lasciare, dal marchio che gli è stato impresso alla nascita, nel tentativo impossibile di strapparsi il destino dal volto.
Gli eroi di Alessandro Angeli non sono cozones che “disperdono le energie e diventano violenti per noia”, sono violenti come noi tutti, e la violenza la praticano come tutti noi quando stiamo male: sono i figli dei pastori, dei contadini, che nascono con un destino impresso “sui volti, nelle pieghe delle mani”, e con la determinazione di rivoltarglisi contro.
È un racconto popolato di vagabondi, attoniti come in Badlands e determinati che neanche le Iene… mentre tu sei sedotto dalle sue donne, sensuali di lame, che non vogliono che le si baci sugli occhi, “come i morti”. Alessandro Angeli, quando è in forma, scrive di vite avventurose e perse, romantiche e irregolari, illuminate e criminali. E scrive di cose che non sa, come fanno tutti gli scrittori veri. Dalla Magliana a Brooklyn, da Spinaceto a Fall River, da Ballarò alla Luna, lui – se è in forma – ti porta a spasso con le sue storie, sfodera la sua prosa 24 carati, e ti ci scioglie come fosse acido. In questo racconto in forma lo è, se ci è lecito dirlo, come spesso e come non mai.
Alessandro Angeli
Alessandro Angeli, nato a Roma nel 1972, vive a Grosseto. Ha scritto della violenza e del degrado della Capitale nei feroci ’70, della vita agra degli afroamericani ai tempi della Grande Depressione e della massima auge del Ku Klux Klan, della condizione tragica e rimossa dei lavoranti stranieri nell’estremo mezzogiorno d’Italia, del brigantaggio socialisteggiante nella Maremma dell’Ottocento, e lo ha sempre fatto con sensibilità e formidabile rigore. Di tutto questo resta testimonianza in: Maginot (Controluce 2008), La lingua dei fossi (Besa 2010), I ragni in testa (Besa 2011), Songster, cosmografia di un vagabondo (Controluce 2012).
Francesco Serino –
Alessandro Angeli, Mare di vetro
di Francesco Serino
Al sesto romanzo, Alessandro Angeli ha ancora lo sguardo di chi i libri li sogna. Educatissimo e sorridente, è uno di quei rari scrittori che amano le storie ma non parlano mai di scrittura. E pensare che di mestiere sviscera manoscritti di autori in erba. Da anni collabora con la nota agenzia letteraria Martin Eden di Firenze. Lo incontro per strada, mi domanda ancor prima di fargli una domanda.
Bianciardi dispensava consigli al vetriolo ai giovani intellettuali. Tu cosa consigli agli aspiranti scrittori?
Misurare le proprie qualità. L’unico modo per farlo è confrontarsi con gli altri, perciò leggere e ancora leggere. Quando il morbo della scrittura ti contagia non hai molte scelte e se riesci a venirne fuori vuol dire che la malattia era curabile. Per gli incurabili il consiglio è superfluo, mi pare. Mare di vetro è un romanzo che ti sprofonda dentro, ma allo stesso tempo ti sfugge, come una dolce illusione, inafferrabile e perciò dolorosa.
A chi ti sei ispirato per creare Tiu, il protagonista?
Tiu era già bello e pronto ad attendermi, io dovevo soltanto avere il coraggio di incrociare il suo sguardo attraverso le sbarre e ho provato a farlo.
Per dirla con Queneau, nella scuola italiana la narrativa è considerata quasi un “esercizio di stile”. Di che sintomo stiamo parlando? …
La scuola si nutre soprattutto di classici, ma mentre studiamo quelli del passato qualche “nuovo classico” comincia ad affacciarsi. Gli insegnanti dovrebbero essere più curiosi, dovremmo essere in grado di cogliere le trasformazioni dei processi culturali perché molto spesso sono le stesse della narrativa.
Tra mille anni, chi ricorderemo degli scrittori italiani di oggi?
A volte mi chiedo cosa riusciremo a trasmettere a quelli che verranno dopo di noi, i libri sembrano un’ottima risposta. Resteranno Moresco, Vasta, Tonon, Trevi, ma come tutti gli elenchi anche questo è parziale, perché mentre ci penso altre opere valide stanno per essere scritte.
Francesco Serino –
“Mare di vetro” – Alessandro Angeli
di Francesco Serino, recensioni IBS
[Noi, in generale (e ovviamente), i giudizi da ibs e affini non li mettiamo in rassegna.
Stavolta invece lo facciamo, non foss’altro che questo è quel che avremmo detto anche noi…]
Ineluttabilità e malinconia. Ecco Mare di vetro. Uno spleen. Un piccolo libro dove il vero attore è il Tempo; un Tempo inesorabile, maestoso, che ha in pugno intere vite, e tutto ciò che in esse risiede. È il racconto di una fuga che dall’Isola, dopo emozionanti peripezie, arriva al “continente”, nella microstoria sociale del viaggio di un uomo alla ricerca di un senso, di un motivo assoluto per vivere. Così, Tiu, giovane protagonista del libro, parla a se stesso e a noi, del suo dolore e del suo disagio, ma ciò che dice non è solo perdita, scontro, ribellione contemporanea ai disastri dell’egoismo, è anzi bellezza, urlo alla memoria, ai luoghi più intimi. Intrecciando e sovrapponendo luoghi e tempi, Angeli ci accompagna lontano, volando sopra quel “mare di vetro” che siamo noi stessi, così distanti dal nostro essere, e allo stesso tempo così vicini da poterlo quasi affogare.
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Patrizia Oddo –
Mare di vetro – Alessandro Angeli
di Patrizia Oddo, La Stamberga dei Lettori, 19 marzo 2013
I Contenuti
Un uomo fa il bilancio della sua vita: l’infanzia con la nonna e la sorella in un piccolo paese della Sardegna; l’adolescenza inquieta e la voglia di fuga; l’università al di là di quel mare di vetro che unisce e separa al tempo stesso; l’incontro con Lucia, la donna della sua vita e la madre dei suoi figli; l’impegno politico con la sinistra militante. Una vita normale fatta di routine, di affetti, di battaglie sociali, di progetti per il futuro, se non fosse che Tiu (questo il nome del protagonista) fa parte dell’anonima sequestri e ha al suo attivo almeno tre rapimenti, i cui ricordi si innestano agli altri episodi, lieti e tragici, della sua vita di bambino, studente, compagno e padre. Un bilancio dunque amaro soprattutto per l’incapacità di sottrarsi a quella vita da criminale che per Tiu rappresentava la fuga dal destino già tracciato per i giovani sardi dell’entroterra; un richiamo forte come la voce della sua terra che neanche l’amore per Lucia riesce a sovrastare sino a quando non si troverà di fronte a una scelta difficile.
La Recensione
“Petru leggeva molto e diceva che erano le parole a cambiare il mondo, le nostre parole, a costruirlo diverso, per il resto tutto rimaneva uguale. L’illusione del cambiamento era una cosa che apparteneva solamente a noialtri, la natura non si curava di queste cose.”
Il principale pregio di “Mare di Vetro” è la scrittura (evocativa, ricercata, attenta ai particolari): l’intera narrazione ha un colore cupo che riveste senza soluzione di continuità i paesaggi (siano essi naturali o urbani) e gli stati d’animo della voce narrante, al punto che diventa impossibile fare una distinzione tra gli elementi esterni al protagonista e quelli più intimi, espressione della sua vita sofferta. La trama è appena accennata: nel ripercorrere l’intera vicenda per sintetizzarne i contenuti, io stessa non sono del tutto certa di aver colto lo svolgersi degli eventi così come l’autore lo ha inteso; il lettore deve riuscire a ricostruire il succedersi degli avvenimenti attraverso i vari flashback che non seguono un ordine cronologico, ma mischiano passato e futuro in un groviglio di emozioni e sensazioni. L’assenza di una trama lineare e sviluppata non rende agevole la lettura (soprattutto per i due terzi del libro) e richiede attenzione ai particolari, perché è da questi che si può ricostruire l’intera vicenda di Tiu: chi è stato e chi è nel momento in cui ripercorre la sua vita avendo se stesso come unico interlocutore. In altri termini, Mare di vetro è un libro breve ma che non può essere letto in fretta e in poco tempo. La scelta dell’autore è di presentarci Tiu come un uomo con le sue luci e ombre, anche se l’umanità di cui lo riveste (l’amore per Lucia e i figli, l’impegno politico, la nostalgia per la sua terra, il desiderio di leggerezza che lo accompagna per tutta la vita) fanno passare in secondo piano i crimini commessi e non viene raccontato il percorso che porta l’adolescente insofferente a trovare l’unica via di fuga nei sequestri di persona. Questa scelta risulta coerente con la cornice in cui si inserisce la vicenda: un uomo che ripercorre per se stesso la sua vita per farne un bilancio; date queste premesse, è logico che la narrazione proceda in modo discontinuo e con un taglio che mette in luce gli eventi più rilevanti in quello specifico momento della sua vita, mentre relega sullo sfondo altre situazioni che risultano meno pregnanti. Per me però questo è il limite principale del romanzo: la trama troppo concisa che costringe il lettore a riempire i vuoti con delle inferenze personali. Lo stile acquista un carattere narrativo più tradizionale nell’ultima parte, quella che ho trovato più riuscita (probabilmente perché più in sintonia con le mie preferenze di lettrice), quella che mi ha riconciliato con Tiu e con la sua storia e che mi ha fatto pensare con dispiacere che ero giunta all’ultima pagina.
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Graziano Mantiloni –
“Mare di Vetro” storia di giovani vite e di avventure
di Graziano Mantiloni, Maremma Magazine, marzo 2013
Non da critico letterario (perché non lo sono) ma da appassionato lettore (e credo di esserlo) mi accingo a parlare del libro di Alessandro Angeli, Mare di vetro, ed. Quarup, Pescara, 2012.
Una storia di giovani vite che si snoda tra la Sardegna e il continente, attraverso un mare di vetro che vuol essere la metafora di una fragilità, taglienza, specchio, asprezza, di quelle vite che sciabordano tra i flutti di una società cattiva e feroce, con le sue regole improntate sul dio denaro; una società poco sensibile che mette ai margini facilmente o butta in galera senza chiedersi troppi perché.
La storia è quella disperata di un ragazzo, Tiu, che diventa bandito, un rapitore, che persegue uno dei più odiosi crimini che si possono infliggere alla persona. Ma Angeli non indugia, pur accennandoli, sui fatti criminosi, bensì li relega in una quinta di un palco teatrale entro il quale si muovono invece i sentimenti, le sensazioni, aliti di vita e dolori di morte.
Sullo sfondo aspro della terra di Barbagia, si muove un mare che rappresenta la strada verso la libertà e l’autodeterminazione, ma anche lo specchio sul quale si riflette la disperazione e la mancanza di dignità che prova e marchia chi non ha un lavoro: “quando le giornate correvano male e il lavoro non c’era, io e Petru andavamo sempre più a fondo, ognuno con il suo fardello. Petru per non pensare si metteva a leggere, io guardavo le pareti della bolla in cui ero finito. Aspettavo che si schiantasse da sola, per un colpo di vento magari, ma non succedeva mai.” In queste parole, emblematiche della stagnante e frustrante attesa giovanile di un lavoro, possiamo trovare condensata, in un misto di schietta semplicità e lirismo, la condizione psicologica del dramma che precede scelte altrettanto drammatiche del protagonista. Un dramma che si sviluppa aspro e si muove indagando i sentimenti del giovane Tiu, che come un’onda del mare viene avviluppato dall’“odio per le classi dominanti” e risucchiato nel mondo violento del banditismo, quasi respinto da quel consorzio civile che non gli ha saputo offrire un minimo per sopravvivere dignitosamente. E saltare il fosso è questione di un attimo. Come un attimo è l’innamorarsi. Un innamoramento che viene ancor più esaltato dal ricordo struggente che ne fa da dietro le sbarre della prigione: “Ci fiutavamo in silenzio. Aveva lievi smagliature lungo l’addome e il corpo affilato e magrissimo di un marabù. Gli occhi scuri, nerissimi, di un’intensità spaventosa.” E ancora: “Rividi Lucia una sera, a una festa,… qualcuno suonava la chitarra in una piccola stanza, illuminata dalle candele. C’era profumo d’arancio, le parole si rincorrevano…”.
La scrittura di questo ultimo lavoro di Angeli è di una piacevolezza ammaliante. Periodi brevi, sinteticità nelle descrizioni, seppure si noti un piacere quasi certosino per i dettagli delle minime cose che sono anch’esse drammaticamente legate ai protagonisti. Una scrittura che pone in risalto la lucida rappresentazione dei sentimenti in un caleidoscopio di immagini e fatti che lasciano stupefatto il lettore e lo fanno partecipe di sensazioni, suoni e profumi che solo i grandi scrittori sanno trasmettere.
A volte il richiamo stilistico va al Tozzi di Bestie: “Presi il libro, mi sdraiai, un insetto piccolissimo svolazzò sulla pagina. Accostai il libro all’abatjour accesa, l’insetto schizzò dentro e rimase immobile e fosforescente a fissare la luce.” Oppure: “Nella sala dei pasti c’è un millepiedi che da quando sono arrivato sta immobile sul davanzale, non si muove, eppure è vivo.”. Altre volte si accosta alla prosa di Pennac, piuttosto che Salvatore Niffoi, grande maestro contemporaneo nel descrivere paesaggi e personaggi della terra sarda, ma sono riferimenti indicativi, troppo limitanti, in quanto la scrittura di Angeli è di una costruzione personalissima, intuitiva, un linguaggio giovane. Il ritmo della scrittura è incessante e serrato, a tratti vorticoso, frammentato in flash back che imprimono una drammaticità ulteriore (se mai ce ne fosse bisogno) ai luoghi e ai personaggi. Salti nel tempo a esorcizzare il tempo stesso che diventa un tormento ulteriore per Tiu. Tutto sembra girare e avvitarsi intorno alla “sconfitta”. Sconfitta di luoghi inospitali, sconfitta di umanità derise ed emarginate al limite del sociale; oltre la “società civile”, il carcere, appunto. E proprio il carcere diventa il non luogo nel quale tutto si annulla e la persona si silenzia: “… un silenzio che, all’istante, dimostra l’inutilità di ogni cosa”.
In questo romanzo Angeli ha trattato un tema difficile (a mio giudizio); quello dei violenti, banditi dalla società, con la scioltezza di chi non ha gabbie o preconcetti e vuol rappresentare la vita così com’è. Un racconto esistenzialista avrebbe potuto dire Cassola. A me, ad una prima lettura, viene di definirlo uno sguardo appassionato nei sentimenti degli “ultimi”. Una storia carica anche di magia: “Quando la luna cadeva a picco sul paese e i suoi raggi ombravano vicoli e caseggiati, le madri portavano a casa i figli e per le strade sberciate circolavano solo i diavoli”. Ma anche intrisa di amore e di paura, l’uno dell’altro, per non comprendersi pienamente; un eterno conflitto che lascia attonito il protagonista: “quando tornai vidi che l’ombra della luna le aveva oscurato di nuovo il volto. Disse che una madre è destinata a rimanere sola e nessuno può capire fino in fondo i suoi sentimenti.”. Ecco, l’attesa di un figlio diventa commozione e disorientamento, presa di coscienza e interrogazione sul futuro: “Eravamo entrambi sgonfi e taciturni. Non avevamo più parlato del nostro futuro e adesso che anche lei lo temeva, in ogni attimo vedevamo il baratro”.
Concludendo, ritengo importante sottolineare il filo rosso che solca il racconto dalle prime alle ultime pagine: un filo che rappresenta la legge del contrappasso quasi beffarda, che si abbatte su chi ha privato gli altri della propria libertà e adesso ne sugge tutti i più amari momenti nella propria prigione. Una scrittura densa; un testo narrativo che tocca anche alti momenti di lirismo, con la molteplice stratificazione dei fatti che si snodano tra i ricordi e unisce mondi tanto distanti e diversi tra loro. L’amore e l’odio, la libertà e la prigionia hanno il pregio di scorrere parallelamente, in unico afflato, perché questa è la storia di Tiu e Lucia, questa è la realtà delle vicende degli uomini e della natura.
Andrea Broggi –
Alessandro Angeli – Mare di vetro
di Andrea Broggi, Lettere e Giorni, 4 febbraio 2013
Non sono sicuro di aver capito fino in fondo questo libro, di aver afferrato davvero tutti i suoi significati o visto i colori di tutti i riflessi, il motivo potrebbe essere dato dal mio essere particolarmente distratto in questo periodo oppure (o anche) dalla determinazione di Angeli, l’autore, di voler smarrire il lettore, nel susseguirsi di momenti distanti tra loro seppur consequenziali.
È un libro di ricordi, di voci che si intrecciano, si sommano, si confondono, le une sulle altre, come se il protagonista più che Tiu o il suo arrivo, fosse il viaggio di Tiu da un’isola, a un’altra, al continente. E non è la cultura che gli fa “difetto”, ma la voglia di rivalsa nei confronti di una società che gli mette addosso il marchio del sentirsi sempre di troppo o sempre schiacciato.
I personaggi di Mare di vetro, questo il titolo suggestivo del libro, sono tutti uomini e donne che hanno perso qualcosa: qualcuno ha perso la possibilità di farcela, qualcun altro ha perso la libertà di poter fare qualcosa, qualcuno, infine, ha perso la possibilità di poter essere qualcosa di differente da quello che è e non c’è redenzione, non c’è cambiamento volto a migliorare questo senso di sconfitta che grava su ognuno di loro.
L’impressione è come quella di essere in spiaggia ad ammirare la rigogliosa bellezza dell’essere umano che ti ha rapito il cuore, senza però il coraggio di mutare la distanza che vi separa. Essere lì a osservare il distacco. Non è solo un quadro immacolato e maestoso, è l’ineluttabilità della vostra natura quel tagliente, splendente, mare di vetro.
Buona lettura.
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Alfredo Ronci –
Alessandro Angeli, “Mare di vetro”
di Alfredo Ronci, Il Paradiso degli Orchi
Raccontai il mio odio per le classi dominanti. Raccontai di quando da ragazzo andavo a lavorare e vedevo i ricchi e, mentre me ne uscivo con i piatti in mano, con la paura che mi cadesse qualcosa, loro mi passavano accanto, ma era come se non ci fossi. Come se io là in piedi con il mio affanno, fossi solo un’illusione, un oggetto inaspettato, giunto improvvisamente da un altro universo, per un vuoto di tempo. Passandomi accanto mi impedivano di esistere, avrebbero giurato sulla mia trasparenza e, facendolo, tentavano di dimostrarmi la loro superiorità.
Tiu, il protagonista della storia, è un loser, un perdente nato che, attraverso varie vicissitudine (meglio dire: esperienze pericolosissime, come quella di far parte dell’anonima sarda) si costruisce un percorso ‘esistenziale’ mai disgiunto dai suoi principi basilari, e forse unici. Nemmeno il rapporto con una donna riesce in qualche modo a ricucire quello strappo doloroso e profondo che esiste tra il suo sentire e gli altri.
Fin qui la storia, che si sviluppa rapida in poco più di un centinaio di pagine.
Mi interessa di più, per disfunzione professionale, lo stile: e qui, a volte son dolori.
M’aspetterei dall’Angeli, per la storia e per l’irrisolto di essa e del personaggio (non necessariamente una dimensione negativa, anzi, le persone ‘divise’ proprio perché frammentate sono più affascinanti), uno stile più secco e immediato. Una sorta di ciclostile dell’anima.
Invece l’autore si lascia andare, soprattutto nella prima parte, ad un linguaggio mesto e quasi liceale, ad una poeticità della ‘domenica’ (come la chiamo io), forse nel tentativo, non riuscito, di valersi di una scrittura emozionale.
Qualche esempio, qua e là:
Il sole annegava nel cielo… (pag. 17).
Io muoio ogni giorno di più e morendo mi partorisco per infinite volte…(pag. 29). E mi chiedo: perché quel partorisco per…
L’ombra della notte sgocciolava sui muri del paese… (pag. 30).
Insomma, robettuola da festival rionale della poesia crepuscolare.
Per fortuna che l’Angeli, come se qualcosa gli fosse giunto alle orecchie, ad un certo punto del libro preferisca una spontaneità più immediata e quasi furtiva. Ed ecco che tutto si riequilibra ed anche il personaggio centrale del romanzo, chiamiamolo eroe in negativo, acquista maggiore ‘presenza’.
Dunque medietà.
Ma attendiamo l’autore ad una seconda prova.
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