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Una idea di letteratura

Perle

(11 recensioni dei clienti)

13.00

Un libro scarno e fulminante che nulla nasconde e tutto nomina, rivelando: le storie brevi, fluviali e compresse, esplorano e narrano così le migliaia di vite che compongono la vita di ogni essere umano, il miracolo del concepimento, la seduzione, l’invecchiamento, l’amore il dominio e il possesso, la delusione, il tradimento.

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Categoria: Product ID: 1564

Descrizione

Un libro scarno e fulminante che nulla nasconde e tutto nomina, rivelando: le storie brevi, fluviali e compresse, esplorano e narrano così le migliaia di vite che compongono la vita di ogni essere umano, il miracolo del concepimento, la seduzione, l’invecchiamento, l’amore il dominio e il possesso, la delusione, il tradimento.

… Sarà l’alterazione della latitudine (Mia Couto è africano, mozambicano nel particolare), del tasso alcolemico o della temperatura dell’anima, ma in questo Perle è la verità che emerge, paradossalmente demistificata, proprio mentre racconta se stessa, nel serico tessuto delle storie.
Una vera e propria infinità di storie, come nel più celebre titolo dell’amato Guimarães Rosa, in preponderante maggioranza declinate al femminile, che trascende per contenuto e forma la gabbia dei ventinove racconti che compongono la raccolta: ognuno di essi ne contiene in sé altri infiniti, e tutti si inanellano come sul filo di una collana, come le perle della realtà a cui il narratore regala “un filo di silenzio che imbastisce il tempo”. Narrare è così la forma per spellare a sangue la verità delle cose, perché solo materializzandole in parole siamo in grado di dare consistenza alle nostre esistenze.
Un libro scarno e fulminante che nulla nasconde e tutto nomina, rivelando: le storie brevi, fluviali e compresse, esplorano e narrano così le migliaia di vite che compongono la vita di ogni essere umano, il miracolo del concepimento, la seduzione, l’invecchiamento, l’amore il dominio e il possesso, la delusione, il tradimento. Mia Couto esplora, costringendo la forma della sua indagine a un numero sempre minimo possibile di righe – prosa di strepitoso controllo e di infinito rigore, e insieme gravida di lussureggiante fantasia –, gli abissi su cui prendono corpo, si mascherano e si truccano con il perbene le nostre rispettosissime vite.

Mia Couto
Nato a Beira (Mozambico) nel 1955 ANTÓNIO EMÍLIO LEITE “MIA” COUTO è oggi considerato uno dei maggiori scrittori contemporanei in lingua portoghese. Dopo gli esordi poetici si è successivamente dedicato alla narrativa, pubblicando romanzi e raccolte di racconti, che gli sono valsi prestigiosi riconoscimenti e premi. Da ricordare Terra sonnambula (Guanda 2002), Sotto l’albero del frangipani, (Guanda 2002), Un fiume chiamato tempo, una casa chiamata terra (Guanda 2005), Venenos de Deus, Remédios do Diabo, 2008, la cui traduzione italiana uscirà a breve per Voland. Tradotto in moltissime lingue, Mia Couto è uno degli autori più letti ed amati nel panorama letterario internazionale.

Informazioni aggiuntive

Autore

Collana

ISBN

978-88-95166-15-5

Traduzione

Bruno Persico

Pagine

128

Formato

14×21

11 recensioni per Perle

  1. Marisa Cecchetti

    Mia Couto, Perle, Quarup 2011. Trad. di Bruno Persico.
    di Marisa Cecchetti, Alleo.it, 13 ottobre 2016

    Non avevo mai incontrato una scrittore che sapesse giocare con la lingua come Antonio Emilio Leite Couto, in arte Mia. Mozambicano del 1955 è considerato uno dei maggiori scrittori contemporanei in lingua portoghese, tradotto in moltissime lingue. Compito non facile per il traduttore, ma senza dubbio intrigante, rendere quella sua strana lingua in Italiano e mantenerne il fascino. Nei ventinove racconti di Perle, brevi e fulminanti, a dirla con parole sue “ intreccia tessuti africani usando stoffe e fili europei”. La sua è una lingua “in stato d’infanzia”, fatta di sperimentalismi fonici, di neologismi fantasiosi ma perfettamente riconoscibili, contenenti il suono stesso dell’azione e dell’immagine, una lingua giocosa ma densa, che implica una infinità di rimandi, ammiccante e magica. Nell’infanzia, secondo Mia Couto – scrive nella postfazione Silvia Cavalieri – ognuno di noi fa un’esperienza linguistica cruciale, quella dell’”idioma del caos”, sregolato, libero e cangiante: conservare traccia di questa avventura primigenia in età adulta ha un valore conoscitivo profondo. Così possiamo leggere: “Nel mio villaggio le donne cantavano. Io piantoggiavo. Solo quando piangevo mi sopraggiungevano bellezze…Le mie natiche si invedovavano di panca in panca, in pancia circonflessa…io danzavo già tra le fiamme, accarinezzata dagli ardori dell’infine” (da: La gonna pieghettanimata). Ed anche “ O ancora, secondo altre voci nascoste, il vicino si era forse spettinato con lei, nottemerario? Questo vicino sarebbe sempre stato una gatta-viva, un uomo con i suoi scheletri fuori dell’armadio” (da: Maria Pietra all’incrocio dei sentieri)

    Le situazioni raccontate oscillano tra il realismo e il sogno e la fantasia, questi come vie di fuga e salvezza, in un contesto che tende al surreale, che non esclude la pazzia e nemmeno la tenerezza Infatti “È un bene che non vi sia penuria di pazzi. Gli uni di seguito agli altri, a guisa di rosario. Come tante perle allineate lungo il filo della miscredenza” (da: Pesce per Eulalia).

    Popola le storie un’umanità sofferente, deprivata, abituata ad obbedire, legata alle tradizioni tuttavia concreta, semplice fino all’ingenuità tuttavia capace di trovare la forza proprio dentro quella dimensione. Come la vedova di Sempronio, che era abituata ad addormentarsi insieme al suo vecchio davanti alla TV , che era vitale per loro, perché i personaggi delle fiction tornavano tutte le sere da loro, i figli no. Gli fa mettere il televisore smontato nella bara e l’antenna, fatta di coperchi, sulla fossa. E va al cimitero la sera: “Quando arrivò aggiustò l’antenna come per orientarla in direzione della luna. Poi si passò il dito intorno agli occhi per rubare una lacrima. Portò infine quella piccola goccia sul coperchio della pentola come se volesse renderlo più brillante. Tra sé mormorò: così prende meglio il segnale. Nessuno la udì, però, quando si curvò sulla terra e disse a bassa voce: – Oggi la TV la accendete voi, Sempronio. Accendetela, che io intanto mi addormento”.

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  2. Gabriele Ottaviani

    “Perle”
    di Gabriele Ottaviani, Convenzionali

    La ragna, quella particolare ragna, era davvero unica: non cessava di tessere tele! Ne produceva in ogni forma e misura. Vi era, comunque, un tuttavia: le faceva, ma non attribuiva loro utilità alcuna. La bestiolina reimpaginava il mondo.

    Perle di Mia Couto, pseudonimo di António Emílio Leite Couto, per Quarup, tradotto da Bruno Persico, è un libro che si legge con la stessa facilità con cui si manda giù dell’acqua quando si ha sete, o si mangia quando i morsi della fame si fanno più pressanti: eppure non è affatto facile. Perché squarcia ogni velo sulle pieghe più intime dell’anima. Sono storie che risplendono di mille bagliori, compiute, per lo più brevi ma intense, nette, profonde, dolorose. C’è la vita in queste pagine, quella da vivere e quella da raccontare, e raccontando la si vive (Il bambino che scriveva versi, un capolavoro, ma c’è davvero l’imbarazzo della scelta: ventinove racconti tutti diversi e al tempo stesso legati da un comune denominatore): la narrazione è la sola speranza. E il principale autore mozambicano, uno dei più importanti in lingua portoghese, racconta del bene e del male, senza retorica, con una scrittura affilata, chirurgica, rigorosa, in cui mai però si avverte il retrogusto dell’artificio, dell’affettazione. Gli eventi esplodono sulla pagina, e colpiscono dritto al cuore chi legge.

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  3. Redazione

    Mia Couto, Perle
    di Redazione

    In questo volume sono raccolti ventinove racconti dello scrittore mozambicano. Il libro è scarno e fulminante, indaga la vita di ogni essere umano, il concepimento, la seduzione, l’invecchiamento, l’amore la delusione, il tradimento. Tante donne lacerate, sottomesse, ingrigite dalla vita ma con pensieri che navigano sottili e potenti.

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  4. Redazione

    Mia Couto, Perle
    di Redazione

    Ventinove racconti che confermano la grandezza di questo scrittore mozambicano, tra i maggiori oggi in lingua portoghese. Ogni racconto è una scoperta. Una scrittura che regala mondi inaspettati, ma che non ammette distrazioni. Ci limitiamo a riportare l’incipit de La commiatatrice: «Ci sono donne che vogliono che il loro uomo sia il Sole. Io il mio lo voglio nuvola. Ci sono donne che parlano della voce del loro uomo. Io invece voglio che se ne stia zitto perché io, in lui, conservi i miei silenzi».
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  5. Mia Lecomte

    Perle, Mia Couto
    di Mia Lecomte

    Sono ventinove i racconti inediti che compongono questa nuova raccolta dello scrittore mozambicano, quasi tutti declinati al femminile, e caratterizzati nella brevità da un’incessante sperimentazione linguistica resa magistralmente in italiano dalla traduzione di Bruno Persico. «Per mantenere la mia residenza nell’infanzia ho bisogno di una lingua in stato di infanzia», dice l’autore. Un «idioma del caos» che costituisce il suo personalissimo «idioletto scritto», prodotto di un rigoroso laboratorio linguistico dove si intrecciano tessuti africani usando stoffe e fili europei, in un’esuberanza lussureggiante di colori nei colori, trame nelle trame. Così che nelle vicende dei fulminei racconti, spesso monologhi a briglia sciolta, con le parole, per le parole, le storie si moltiplicano l’una nell’altra, crescono esponenzialmente in una vertigine di piani del vissuto, di vite che nei rimandi musicali e cromatici si fanno pietosamente solidali, si raccolgono in una sola. Come le tele della ragna «filatrice» – che con cautela dice al ragno sulla tela: il nostro amore è appeso a un filo –, infinitamente dedita alla sua inutile Arte: «La ragna, quella particolare ragna, era davvero unica: non cessava di tessere tele! Ne produceva in ogni forma e misura. Vi era, comunque, un tuttavia: le faceva, ma non attribuiva loro utilità alcuna. La bestiolina reimpaginava il mondo. Anche se così inconcludeva sempre le sue opere…».

  6. Monnalisa

    Mia Couto, Perle
    di Monnalisa, febbraio 2012

    “Perle” è stato un gradito omaggio. Ricevuto, come alcune piacevoli sorprese, direttamente via e-mail, sotto forma di allegato e-pub, dalla Quarup, una casa editrice pescarese che, nonostante sia abruzzese come la sottoscritta, la sottoscritta non conosceva affatto.

    Tornare a leggere Mia Couto, come avevo sospettato fin dal mio primo Couto (Veleni di Dio, medicine del diavolo, Voland, 2011), è stato esaltante e sorprendente. In sostanza: non mi aspettavo nulla di meno. E non posso che continuare a ribadire che questo scrittore è una delle scoperte più stuzzicanti e stimolanti che abbia compiuto negli ultimi tempi.
    Stavolta si tratta di racconti. In “Perle” ce ne sono ben ventinove. Poche pagine ognuno ed ognuno è davvero una piccola perla. L’Africa, come già immaginavo, non poteva mancare e neppure certe atmosfere e certe figure che, per sangue, pensieri e contaminazioni non possono che arrivare dal Mozambico, il Paese in cui lo scrittore è nato.

    Tante donne in questi racconti. Donne spesso lacerate, sottomesse, ingrigite dalla vita ma con pensieri che navigano sottili e potenti. Penso, ad esempio, alla portentosa protagonista de “Il cesto”, il racconto che apre il libro. Ma ci sono donne un po’ ovunque in “Perle” e, a dire il vero, gli uomini, narrativamente parlando, ne escono malconci, striminziti: creature difettose, assuefatte al loro mondo di idee minime e terrori nascosti.

    Magici e straordinariamente poetici anche i racconti di vecchi e bambini, quasi come se a unire le due età estreme della vita ci fosse una corda invisibile ma portentosa. Penso al nonno che ha paura di essere nonno de “Il nonno differito”, uno dei miei racconti preferiti: “Io queste cose non le voglio. Io non sono nonno, sono io, Zedmondo Costante. Ora voleva godere del suo meritato diritto: essere vecchio. Si muore con tanta vita ancora! Tu non capisci, donna. Ma i nipotini sono stati inventati per rubarci, ancora una volta, il privilegio di essere noi stessi”.

    Oppure gli incantevoli nonno e nipote del racconto dolce-amaro intitolato “Il fiume delle quattro luci” in cui il nonno cerca di far conoscere l’infanzia a suo nipote perché i genitori non hanno avuto tempo o voglia di farlo. “Che senso aveva essere bambino, se gli mancava l’infanzia? Questo mondo non è fatto per gli infantilismi. Perché ci fanno nascere così piccoli, se la vita sembra sempre spostata più in là, verso altre vite? Dovrebbero farci già belli grandi, capaci di sognare con moderazione”. O la dolcissima e premurosa nonna raccontata in “La nonna, la città e il semaforo”.
    In ogni storia c’è un incanto. Non so come altro descrivere quella mescolanza di verità, vita, sogno, tragedia, visione, ironia, tenerezza, seduzione e divertimento. Perché leggere Couto diverte moltissimo. E commuove altrettanto. Ogni racconto racchiude un piccolo cosmo a sé stante, un universo che da solo si basta e si completa.

    Non posso non fare accenno alla lingua, alla dimensione ludica che le parole e il loro uso hanno per questo scrittore. Inventa termini che non esistono, che nessun vocabolario e nessuna grammatica contemplano ma dà loro la legittimità necessaria a renderli vivi, comprensibili e pienamente integrati nei testi che scrive. Silvia Cavalieri, nell’interessante saggio che chiude “Perle”, spiega: “Molti critici hanno profuso parecchia energia per analizzare il personalissimo “idioletto scritto” di questo autore che, forte di un’intimità coltissima con il portoghese codificato, si diverte a stravolgerlo, modulando la sua scrittura sui ritmi morfosintattici del parlato di Maputo per poi incastonare in esso parole estrose ma sempre perfettamente grammaticali, inventate in sintonia con le regole fonologiche della lingua madre e utilizzando i procedimenti fondamentali della riproduzione lessicale”.
    Ed è questo un altro dei buoni motivi per avvicinarsi a Mia Couto e alla sua letteratura.

    EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE

    Mia Couto, in realtà, si chiama António Emílio Leite Couto. E’ nato a Beira, in Mozambico, nel 1955. Il nome “Mia” era usato da suo fratello minore e, in seguito, lo scrittore lo scelse come nome d’arte. Couto è considerato uno dei più grandi scrittori contemporanei in lingua portoghese. Dopo aver abbandonato gli studi di Medicina, Mia Couto si è dedicato al giornalismo e alla letteratura ma, più tardi, ha comunque scelto di laurearsi in Biologia. Ha esordito come poeta nel 1980, si è poi dedicato ai racconti per approdare al romanzo. Tra le sue opere tradotte anche in Italia ricordiamo “Terra sonnambula” (Guanda 2002), “Sotto l’albero del frangipani” (Guanda 2002), “Un fiume chiamato tempo, una casa chiamata terra” (Guanda 2005), “Ogni uomo è una razza” (Ibis, 2006), “Perle” (Quarup, 2011), “Veleni di Dio, medicine del diavolo” (Voland 2011).

    Mia Couto, “Perle”, Quarup, Pescara, 2011. Traduzione di Bruno Persico. Titolo originale: O Fio das Missangas (2004).

    Mia Couto: Wikipedia / Merlin Litag (scheda) / Lankelot

  7. Marianna Micheluzzi

    Mia Couto / “Perle” (best seller in Mozambico) arriva tradotto nel nostro Paese
    di Marianna Micheluzzi, 20 aprile 2012

    Mia Couto, mozambicano “doc”ma nato da genitori portoghesi immigrati, di cui abbiamo scritto a proposito della sua versatile personalità, appena qualche giorno fa , non è solo un poeta.

    Infatti, un nostro piccolo editore “Quarup”, come sempre accade fuori da quei circuiti che sono palesemente commerciali, ha pensato bene di proporci una raccolta di suoi racconti dal titolo “Perle”,che ci presenta il Mozambico di ieri e di oggi, quello degli antichi e spietati colonizzatori e quello del dopo indipendenza, in tutte le sue luci e ombre ma in cui sostanzialmente è la “donna”la protagonista.

    Insomma il femminile nella “storia” del Mozambico, terra di grandi contraddizioni come un po’ tutta l’Africa, dove bene e male, come dappertutto, coesistono indifferentemente.

    E dove è sempre la donna la chiave grazie alla quale è più facile giungere al cuore del problema. Di ogni problema.

    Irrisolvibile o solubile che esso sia.

    In portoghese (Mia Couto appartiene di diritto all’Olimpo degli scrittori lusofoni) il titolo del libro, molto più appropriato, è invece: “O fio das missangas” cioè “Il filo delle perline”, che altro non sono che quelle perline di vetro colorato con cui in Africa, e quindi anche in Mozambico, si fanno braccialetti, collanine e altri monili da vendere al turista di passaggio.

    E’come se Couto ci dicesse che ogni suo racconto (in tutto sono 29 storie narrate) è uno di questi oggettini che il turista, dopo un viaggio in Africa, conserva gelosamente nel fondo di un cassetto e, di tanto in tanto, prova a tirare fuori e a riguardare e , attraverso il quale,vorrebbe capire forse un po’ di più di quanto ha visto.

    Andare – diciamo-sotto la pelle.

    Ogni storia di “Perle” è, comunque, sempre preceduta da una breve poesia. Un mix accattivante per la gioia del lettore, che non perde così di vista il Couto poeta.

    Ne “La commiatatrice”,un racconto a caso, fin dalla prima riga, ad esempio, leggiamo : “Ci sono donne che vogliono che il loro uomo sia il Sole. Io il mio lo voglio Nuvola. Ci sono donne che parlano della voce del loro uomo, io invece voglio che se ne stia zitto perché io, in lui, conservi i miei silenzi”.

    Anche questa è donna d’Africa. Equilibrio naturale (fertilità come dono e dedizione al proprio uomo) a garanzia dell’equilibrio sociale in un mondo abbastanza complesso.

    Nel bene e nel male. E senza dover ricorrere ai “sermoni” dei colonizzatori.

    Cioè fin dalle origini.

    A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

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  8. Annalisa Addis

    “Perle” di Mia Couto
    di Annalisa Addis, Affrica.org, 10 gennaio 2012

    La perla, tutti la vedono Nessuno però nota il filo che, in vistosa collana, unisce le singole perle. Ad esso è simile la voce del poeta: un filo di silenzio che imbastisce il tempo.
    “Perle” è una raccolta di ventinove racconti brevi, talvolta brevissimi, dell’autore mozambicano Mia Couto. Nel titolo originale portoghese (O fio das missangas, “Il filo delle perline”), l’attenzione è posta non tanto sulle perle, ma sul filo che le tiene assieme, che come come suggerito dai versi di apertura, rappresenta il ruolo del poeta/scrittore: invisibile, eppure essenziale. Per di più, le perle di cui si parla non sono i nobili prodotti delle ostriche (che si chiamerebbero pérolas), ma le più modeste missangas, le perline colorate di vetro, plastica o altri materiali tanto diffuse in Africa.
    Ciascuna di queste ventinove “perle” è una storia diversa dalle altre: alcune sono narrate in prima persona, altre in terza persona; qualcuna è ambientata nel passato coloniale, altre ai giorni nostri, altre ancora si situano in un tempo non ben definito. In alcuni casi, il realismo la fa da padrone, come nelle storie che raccontano di infedeltà coniugali e violenze domestiche – tanto diffuse in Mozambico –, in altre invece si narra di fenomeni soprannaturali: pesci parlanti, uomini volanti, e così via.

    Il filo invisibile che tiene assieme racconti tanto diversi tra loro è l’abilità di Mia Couto nel raccontare il suo Paese, muovendosi nel tempo e nello spazio, e dando voce a numerosi e diversi personaggi: donne, uomini, giovani, vecchi. Nel giro di poche pagine – l’intero libro non arriva a contarne centotrenta – si passa dai pensieri di una donna che va a trovare in ospedale il marito infermo, nella speranza che questi la lasci presto vedova, al punto di vista del ragazzino cui il padre impone di frequentare la figlia del sindaco, obesa ed emarginata, alla storia del colono portoghese bigotto, razzista e violento. Tutti questi personaggi, i loro pensieri, le loro gioie e le loro miserie, sono tutti sfaccettature del Mozambico, complesso e per certi versi incredibile.

    “Perle” si lascia leggere facilmente: può tenere compagnia in un pomeriggio invernale, oppure essere centellinato nel corso di un mesetto, concedendosi poche pagine ogni sera prima di dormire. Lo pubblica Quarup, il prezzo di copertina è di 13,90 Euro, qui trovate le informazioni per l’acquisto.

    Mia Couto (pseudonimo di António Emílio Leite Couto) non è solo il più noto scrittore mozambicano, ma uno dei principali autori lusofoni. Il suo personalissimo stile è caratterizzato da una costante creazione di neologismi spesso di influenza mozambicana, tuttavia rispettando i canoni della formazione delle parole nella lingua portoghese.

    Nato a Beira (seconda città del Mozambico) nel 1955, nei primi anni settanta si arruola nel FRELIMO (Fronte di Liberazione Nazionale del Mozambico), movimento clandestino che lotta per l’indipendenza del Mozambico, pur essendo lui stesso figlio di portoghesi. Anche dopo l’indipendenza continuerà ad interessarsi di politica.

    Nonostante la sua attività di giornalista prima, poeta e scrittore poi, la formazione di Mia Couto è scientifica: interrotti gli studi di medicina, si laureò più avanti in biologia. Ancora oggi continua ad esercitare la professione di biologo: oltre ad essere professore universitario (ha una cattedra all’Università Eduardo Mondlane di Maputo), svolge attività di ricerca nel campo dell’impatto ambientale. In passato, è stato anche responsabile della riserva naturale di Inhaca, splendida isola a 40km al largo della città di Maputo.

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  9. Alfredo Ronci

    Mia Couto – Perle
    di Alfredo Ronci

    M’ispira una recensione rapida, fulminea (speriamo accattivante): sfortunatamente per il lettore l’aggettivazione usata non si confà al libro.
    Innanzi tutto Mia Couto è un uomo e non una donna: nome per intero Antonio Emilio Leite ‘Mia’ Couto.
    E’ mozambicano e quindi scrive in portoghese.
    Povero il traduttore, Bruno Persico, a cui dà una mano Silvia Cavalieri, che ha capito l’antifona e ha suggellato la sua fatica con una post-fazione riteniamo essenziale.
    Sì perché l’autore tra funambolismi, neologismi e parole valigia l’ha fatta grossa.
    La postfatrice sullo stile di Couto afferma: il personalissimo idioletto scritto.
    Mah.
    Si noti a pag. 11: inutensile.
    Si noti a pag. 14: le braccia agguancialavano la testa.
    Si noti a pag. 18: occhi tachicardici.
    Si noti a pag. 19: cristallinde tristezze.
    Si noti a pag. 24: La gonna pieghettanimata.
    Si noti a pag. 33: Rimasi in cinta, un giorno. Ma fu semipregnanza…
    Si noti a pag. 45: sferogravida.
    Può bastare.
    Storie di donne quasi sempre violentate, derise, sfruttate, ignorate dal maschio.
    Ma nel racconto ‘Il cesto’ lei, che ha il marito malato in ospedale, lo vuole morto.
    Ma nel racconto ‘Nella tal notte’ la donna si lamenta del marito che torna a casa solo un giorno all’anno e teme che la possa tradire. Ma a cornificarlo è lei.
    Ah dimenticavo, qualche banalità di troppo. Leggo a pag. 55: La sera mi avvolge col suo abbraccio di rugiada.
    Embè.
    La povera postfatrice, che stimiamo per averci dato qualche notiziola in più sull’autore, la bruceremmo su una pira alta 10 metri quando scrive, sempre nella post-fazione: La sua scrittura non si limita, così, a incrinare la monotonia della comunicazione quotidiana, ormai resa inefficace da automatismi logori e martellanti, ma contribuisce a corrodere le catene di un’omogeneità linguistica che, obliterando le anomalie e gli scarti rispetto alla norma, rischierebbe di riprodurre in forme nuove la prolungata violenza dell’assoggettamento coloniale.
    Maro’ che palle. Che spreco di parole. Para para alle introduzioni alle silloge dei poetastri della domenica.

  10. Andrea Broggi

    Mia Couto – Perle
    di Andrea Broggi, Lettere e Giorni, 11 dicembre 2011

    Titolo originale: O Fio das Missangas
    Autore: Antònio Emilio Leite Couto
    Anno 2011
    Edizione: Quarup
    Pagine: 125
    Pare sia destino che io debba cominciare le recensioni ai libri della Quarup con i ringraziamenti, questa volta non diretti all’autore, Mia Couto, che mai avevo sentito nominare prima (rapido esempio di outing editoriale), ma alla casa editrice stessa. Grazie Quarup per la vostra spedizione, la vostra gentilezza è stata molto più che apprezzata! Perle è una specialissima raccolta di racconti che conferma quanto la scelta degli editori italiani di non approcciarsi a un genere troppo spesso meno considerato, quello dello scritto breve appunto, non sia legato alla qualità, ma esclusivamente alla vendibilità. Lo è tanto più perché Couto incanta non solo nel suo dare voce ai perdenti, ma anche nel suo modo di usare un linguaggio ricco di neologismi parlanti, di crasi tra parole con il compito di far viaggiare il lettore, creando per lui nuovi significati o meglio punti di vista indicanti un nuovo significato. Insomma, editori italiani, sponsorizzate di più i racconti, al posto di pubblicare ogni essere umano solo per aver scritto 140 pagine (minime) di fila.
    I personaggi, spesso femminili, di questo mondo cartaceo, sono disperati, pittoreschi, stravaganti a volte soli, tutti in grado di comunicare la loro interiorità anche se non sempre in modo comprensibile. E il lettore di tanta grazia, mette al bando la noia, vorrebbe giocare di rilancio se solo potesse, ma può solo invece accontentarsi di vivere quel breve spaccato di poche pagine e di farsi trascinare sulla punta del precipizio, non quello in cui cadere per perdersi, ma quello della commozione, scegliendo se lasciarla scivolare via in lacrime o più duramente trattenerla in sé. Piccola perla che in un modo o in un altro resta nella memoria con tutta la sua salinità e, attraverso la sua istantanea forma scarna, arriva inalterata a sorprendere. Vi aspettano ventinove figure umane e vi lascerà di stucco leggere in ognuna qualcosa che vi appartiene. Buona lettura.
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  11. Libreria Atlantide

    Perle, di Mia Couto, Quarup editore
    di Libreria Atlantide, 4 novembre 2011

    … Sarà l’alterazione della latitudine (Mia Couto è africano, mozambicano nel particolare), del tasso alcolemico o della temperatura dell’anima, ma in questo Perle è la verità che emerge, paradossalmente demistificata, proprio mentre racconta se stessa, nel serico tessuto delle storie.
    Una vera e propria infinità di storie, come nel più celebre titolo dell’amato Guimarães Rosa, in preponderante maggioranza declinate al femminile, che trascende per contenuto e forma la gabbia dei ventinove racconti che compongono la raccolta: ognuno di essi ne contiene in sé altri infiniti, e tutti si inanellano come sul filo di una collana, come le perle della realtà a cui il narratore regala “un filo di silenzio che imbastisce il tempo”. Narrare è così la forma per spellare a sangue la verità delle cose, perché solo materializzandole in parole siamo in grado di dare consistenza alle nostre esistenze.
    Un libro scarno e fulminante che nulla nasconde e tutto nomina, rivelando: le storie brevi, fluviali e compresse, esplorano e narrano così le migliaia di vite che compongono la vita di ogni essere umano, il miracolo del concepimento, la seduzione, l’invecchiamento, l’amore il dominio e il possesso, la delusione, il tradimento. Mia Couto esplora, costringendo la forma della sua indagine a un numero sempre minimo possibile di righe – prosa di strepitoso controllo e di infinito rigore, e insieme gravida di lussureggiante fantasia -, gli abissi su cui prendono corpo, si mascherano e si truccano con il perbene le nostre rispettosissime vite.
    L’AUTORE:
    Nato a Beira (Mozambico) nel 1955 ANTÓNIO EMÍLIO LEITE “MIA” COUTO è oggi considerato uno dei maggiori scrittori contemporanei in lingua portoghese. Dopo gli esordi poetici si è successivamente dedicato alla narrativa, pubblicando romanzi e raccolte di racconti, che gli sono valsi prestigiosi riconoscimenti e premi. Da ricordare Terra sonnambula (Guanda 2002), Sotto l’albero del frangipani, (Guanda 2002), Un fiume chiamato tempo, una casa chiamata terra (Guanda 2005), Venenos de Deus, Remédios do Diabo, 2008, la cui traduzione italiana uscirà a breve per Voland. Tradotto in moltissime lingue, Mia Couto è uno degli autori più letti ed amati nel panorama letterario internazionale

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