di: Prisca Agustoni
“Domenica / Il Sole 24 Ore” (28 aprile 2019)
Il tema della memoria diventa lente di ingrandimento di una realtà messa sotto pressione da processi politici autoritari e violenti in Malgrado tutto, quarto romanzo dello scrittore brasiliano Julián Fuks. Nato a San Paolo nel 1981 da esuli argentini, Fuks conduce uno scavo doloroso e necessario nella storia recente del Paese d’origine dei suoi genitori, segnato dal golpe militare del 1976, ma anche uno scrutinio impietoso dei rapporti umani all’interno di una famiglia, la sua, unita da scelte difficili e da profondi legami affettivi. Servendosi di una voce in prima persona cerca le parole giuste per palesare le trame sottili e intrecciate – e lo sconforto latente – nella vita di un nucleo familiare che, oltre ad aver vissuto il trauma dell’esilio, porta con sé anche i tabu legati all’adozione di un figlio. Si intuisce sin dall’inizio che il fratello del narratore è nato in piena dittatura, quando molti neonati argentini furono sottratti ai genitori, militanti politici contrari al regime dittatoriale e che oggi compongono la lunga lista dei desaparecidos. Nella narrazione Fuks inserisce degli elementi che sembrano direttamente ispirati alla sua storia personale (lettere, dialoghi con il fratello, situazioni vissute) che confondono i piani di finzione del romanzo. Ed è appunto questo tono autobiografico, assieme alle domande che il narratore si pone senza tregua, che fanno di quest’opera una toccante testimonianza delle ferite ancora aperte a distanza di anni da quegli eventi traumatici.
Sebastián è il narratore che cerca di ricostruire in prima persona – a partire da un punto di vista intimo, il più possibile lontano da una fedeltà a date o fatti precisi – i cocci di un mosaico famigliare frastagliato dai venti politici e dalle ombre di un’adozione della quale poco si parla nonostante la presenza del fratello, sui genitori del quale poco si sa, sia un dato di fatto apparentemente senza veli: tutti in famiglia sanno da sempre che il fratello non ha legami consanguinei e questo non sembra essere un problema. Ciò nonostante, elementi anche banali del quotidiano – sguardi, conversazioni, parole non dette, spesso evocati attraverso dei flash-back – ci presentano un malessere mai capito durante l’infanzia del narratore. Così, poco a poco il romanzo rivela lo sconcerto di un paesaggio affettivo e psicologico tutt’altro che sereno e risolto.
Da questa constatazione parte la ricostruzione interiore del narratore che in 47 brevi e intensi capitoli, scritti in un linguaggio segnato dal flusso di coscienza, fa della dolorosa messa in discussione dei rapporti con la realtà e con la famiglia il centro della sua scrittura. Una scrittura che diventa a sua volta materia prediletta di ricerca, protagonista assoluta del romanzo. Il tema della dittatura e dell’adozione lascia infatti progressivamente spazio all’indagine sui limiti incontrati quando si cerca di accogliere e raccontare una versione della realtà che supera i fatti narrabili secondo una logica più o meno stabilita dalla memoria e dalla penna del giovane narratore. Le costanti incursioni nel territorio del dubbio, nella radicale messa in discussione dei sentimenti e dei ricordi, concentra l’attenzione del lettore sullo scarto esistente nell’intimità tra quello che si crede di conoscere e quello che è taciuto.
Il romanzo di Fuks sembra quindi mosso da un’urgenza conoscitiva, l’urgenza di risolvere questioni legate allo sguardo che si lancia sugli altri ma soprattutto su se stessi, quando si sente la fitta dell’inquietudine e il fiato del fallimento soffiarci sul collo, come confessa il narratore al capitolo 32: «So che sto scrivendo il mio fallimento. Non so bene cosa scrivo. Oscillo tra una fedeltà impossibile alla realtà – o, per meglio dire, a quei cocci del mondo che siamo soliti chiamare realtà – e un’insopprimibile tendenza a favoleggiare, un modo astuto per sfiorare i fatti, la volontà di dare alle cose un senso che la realtà si rifiuta di dare».
Alla fine di queste quasi 130 pagine scritte in un ritmo vertiginoso, con uno stile schietto e incisivo, senza sbavature o cadute di tono, il lettore ne esce forse spiazzato ma ripagato nella misura in cui la scrittura di Fuks illumina con lucidità e bellezza le zone d’ombra di una storia che è collettiva e personale al contempo e ci permette di identificarci con il dramma umano vissuto dai suoi personaggi, con le loro incertezze e fragilità che sentiamo come profondamente vere, forse perché descritte con la sincerità di chi le ha vissute in prima persona e ha preso coraggio di condividerle senza falsi pudori e senza temere le contraddizioni.