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Una idea di letteratura
(In)ter(per)culturando: Caio Fernando Abreu attraverso gli occhi del traduttore Bruno Persico

di Barbara Gozzi, Agoravox, 5 maggio 2011

– Tu não avisou que vinha – ela resmungou no seu velho jeito azedo, que antigamente ele não compreendia. Mas agora, tantos anos depois, aprendera a traduzir como que-saudade, seja-benvindo, que-bom-ver-você ou qualquer coisa assim. Mais carinhosa, embora inábil.
Abraçou-a, desajeitado. Não era um hábito, contatos, afagos. Afundou tonto, rápido, naquele cheiro conhecido – cigarro, cebola, cachorro, sabonete, creme de beleza e carne velha, sozinha há anos. Segurando-o pelas duas orelhas, como de costume, ela o beijou na testa. Depois foi puxando-o pela mão, para dentro.
– A senhora não tem telefone – explicou. – Resolvi fazer uma surpresa.
Acendendo luzes, certa ânsia, ela o puxava cada vez mais para dentro. Mal podia rever a escada, a estante, a cristaleira, os porta-retratos empoeirados. A cadela se enrolou nas pernas dele, ganindo baixinho.
– Sai, Linda – ela gritou, ameaçando um pontapé. A cadela pulou de lado, ela riu. – Só ameaço, ela respeita. Coitada, quase cega. Uma inútil, sarnenta. Só sabe dormir, comer e cagar, esperando a morte.

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– Non mi hai detto che venivi – farfugliò con quel suo tono aspro a lui familiare, che un tempo non capiva. Ma che ora, dopo tanti anni, aveva imparato a interpretare come un quanto-mi-sei-mancato, dài-entra, che-bello-rivederti, o qualcosa di simile. Più affettuosa, anche se un po’; goffa.
Lui l’abbracciò, impacciato. Non era consueto per loro, quel contatto, quelle carezze. Sprofondò intontito, rapido, in quell’odore conosciuto – sigaretta, cipolla, cane, sapone, crema di bellezza, carne vecchia, e tanti anni di solitudine. Afferrandogli le orecchie, come usava fare, lo baciò sulla fronte. Poi prese a tirarlo con la mano verso l’interno.
– Ma come facevo ad avvisarti se non hai un telefono – rispose. – Ho deciso di farti una sorpresa.
Mentre accendeva luci, una certa ansia, lo tirava sempre di più verso l’interno. A mala pena riuscì a distinguere la scala, la libreria, la cristalliera, i portafotografie impolverati che non vedeva da tempo. La cagnetta che gli si attorcigliò intorno alle gambe, con un guaire sommesso.
– Via, Linda – lei gridò minacciando di darle un calcio. La cagnetta si tirò in disparte, e lei rise. – Basta una minaccia e obbedisce. Povera, è quasi cieca. Un essere inutile, rognoso. Sa solo dormire, mangiare e cagare, aspettando la morte.
Nel libro I draghi non conoscono il paradiso, nello specifico, i racconti hanno identità proprie, in alcuni casi sono anche scritti con ritmi, registri e scelte stilistiche e strutturali differenti. Nell’originale, Le è sembrato che Abreu fosse più concentrato sulle ‘diversità individuali’ o sulle ‘sottotracce comuni’? Quanto il Suo lavoro si è concentrato sul tradurre intenti diversificativi e quando invece ha ritenuto di restituire nella traduzione italiana elementi e caratteristiche volte a individuare le specifiche stilistiche e linguistiche dell’autore?

Credo che uno dei motivi che animano l’intera produzione di Abreu sia l’indagine del rapporto tra ordine e caos, indagine che ha trovato piena espressione nel racconto “Dodecaedro” della raccolta “Triângulo das Águas” del 1991, secondo me il (pur controverso) capolavoro assoluto di Abreu, alla cui traduzione sto lavorando per puro diletto. Per estensione possiamo dire che i racconti di Abreu sono costanti traduzioni letterarie del caos di emozioni, passioni e dannazioni della complessa natura umana, a cui l’autore cerca di porre un ordine in quelle che Lei ha definito “sottotracce comuni”, le idee portanti che trovano espressione nei progetti letterari di ciascuna delle sue raccolte, che in tal modo smettono di essere semplici “raccolte” per tendere a un motivo di ordine superiore. Per l’autore, ordine e caos sono due aspetti dello stesso intento letterario, non credo che egli privilegiasse l’uno a discapito dell’altro. Nella traduzione italiana ho quindi sempre curato, come dicevo prima, di rispettare e riprodurre l’estrema varietà di toni e ritmi della scrittura di Abreu, pur cercando di caratterizzare la sua voce in modo da renderla inconfondibile per efficacia, incisività, ironia, musicalità e pregnanza.

È corretto secondo Lei considerare questa raccolta un assemblaggio i cui sapori diversi sono anche dovuti ai diversi momenti di scrittura, intenzioni e probabilmente idee precise sui singoli racconti?

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