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Una idea di letteratura
“13 crudeltà ” di Luc Lang

di Liliana Di Ponte, Libere Recensioni, 9 maggio 2010

Diciamolo subito, per chiunque si appresti a leggere questo libro: qui non c’è consolazione né happy end né riscatto né speranza, il male trionferà sul bene, i nostri non arriveranno all’ultima riga e salvare l’eroe anzi, se possibile, gli daranno il colpo di grazia. Già il titolo “13 crudeltà”, di Luc Lang, dovrebbe metterci sull’avviso: 16 racconti con uno mancante, il tredicesimo appunto, che tutti li racchiude e li genera, come figli dello stesso genitore, diversi tra loro ma accomunati da uguale imprinting. Storie dure, ma lontanissime dalle fiction televisive e dalla rassicurante inverosimiglianza delle loro efferatezze. Niente serial killer, psicopatici bipolari, stupratori accaniti, pedofili (laici o clericali che siano), truffatori spietati: nient’altro che la semplice, banale, familiare quotidianità che tutti ci contiene e avvolge, come un utero che dà la vita e, all’occorrenza, la sfibra, la dissecca, la stritola fin quasi a toglierla. Nessuno viene risparmiato: bambini innocenti, anziani fragili, donne e uomini all’apparenza vincenti, deboli predestinati al sacrificio, perdenti senza speranza. Sono madri, padri o figli di qualcuno e nello spazio di poche pagine si consuma, inesorabile, tutta la tragicità ambivalente delle relazioni. C’è Antoinette dai capelli di neve, parcheggiata nella propria casa in attesa della fine, bagaglio fra i bagagli (Alto-basso-fragile). O la coppia di anziani, incolpevoli responsabili di una mortale catena d’incidenti, procurata ad arte da altri (Flusso). E lo sguardo dei figli che si posa dolorosamente sulla mente svanita del padre (Il giorno del Signore) o su quella delirante della madre (Domenica) o sulla convinta e pervicace volontà uxoricida materna (Escalation). Ci sono le regole spietate – esplicite o inconfessabili – del mercato del lavoro, con la selezione all’ultimo sangue fra candidati a un posto di alta responsabilità (Aria condizionata); il cinico epilogo di un incidente in un cantiere (Schivata); e un ricatto sessuale, scopo assunzione, che fino alla fine ci fa illudere su un lieto fine che non arriverà (Vita privata). E ancora amori finiti o mai cominciati, piccole sopraffazioni dall’aria innocente e cattiverie gratuite, o semplicemente la cieca legge del caso che fa e disfa destini. È proprio questa normalità, pericolosamente familiare, che inquieta. Ma noi non siamo così – cerchiamo di rassicurarci – noi ne siamo fuori, i cattivi sono gli altri. Eppure – ci mulina in testa un pensiero molesto – potremmo essere noi, il figlio di quel padre smemorato da accompagnare nella casa di riposo; noi, il vicino intollerante verso lo straniero; noi, l’automobilista incivile e il manager in carriera. Perché mai il bene dovrebbe trionfare sul male, se ne siamo così impastati da non riuscire più a distinguere l’uno dall’altro? Luc Lang ci fornisce uno specchio in apparenza deformante in cui rifletterci, un manuale sul nostro tempo, in cui le istruzioni per l’uso servono solo a contemplare il lavoro già compiuto. E lo fa con una scrittura prosciugata, incisiva e priva di qualsivoglia tentazione di giudizio, mettendosi sempre dalla parte, contemporaneamente, della vittima e del carnefice, perché non c’è da fare altro, la vita è questa e per sapere chi siamo noi, basta specchiarci.

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