di Andrea Broggi, Lettere e Giorni, 4 febbraio 2013
Non sono sicuro di aver capito fino in fondo questo libro, di aver afferrato davvero tutti i suoi significati o visto i colori di tutti i riflessi, il motivo potrebbe essere dato dal mio essere particolarmente distratto in questo periodo oppure (o anche) dalla determinazione di Angeli, l’autore, di voler smarrire il lettore, nel susseguirsi di momenti distanti tra loro seppur consequenziali.
È un libro di ricordi, di voci che si intrecciano, si sommano, si confondono, le une sulle altre, come se il protagonista più che Tiu o il suo arrivo, fosse il viaggio di Tiu da un’isola, a un’altra, al continente. E non è la cultura che gli fa “difetto”, ma la voglia di rivalsa nei confronti di una società che gli mette addosso il marchio del sentirsi sempre di troppo o sempre schiacciato.
I personaggi di Mare di vetro, questo il titolo suggestivo del libro, sono tutti uomini e donne che hanno perso qualcosa: qualcuno ha perso la possibilità di farcela, qualcun altro ha perso la libertà di poter fare qualcosa, qualcuno, infine, ha perso la possibilità di poter essere qualcosa di differente da quello che è e non c’è redenzione, non c’è cambiamento volto a migliorare questo senso di sconfitta che grava su ognuno di loro.
L’impressione è come quella di essere in spiaggia ad ammirare la rigogliosa bellezza dell’essere umano che ti ha rapito il cuore, senza però il coraggio di mutare la distanza che vi separa. Essere lì a osservare il distacco. Non è solo un quadro immacolato e maestoso, è l’ineluttabilità della vostra natura quel tagliente, splendente, mare di vetro.
Buona lettura.