di Giuseppe Sofo
João Francisco Vilhena ci offre una vera e propria finestra sul piccolo mondo dell’isola di Lanzarote e sul grande mondo della scrittura di José Saramago. Il fotografo accompagna, o meglio, segue il premio Nobel portoghese tra i vulcani e le strade deserte di quest’isola delle Canarie di cui Saramago stesso ci dice nei suoi Cadernos de Lanzarote: «pur non essendo la mia terra, è terra mia», perché qui aveva scelto di vivere gli ultimi diciotto anni della sua vita. Lo sguardo del fotografo sullo scrittore ci restituisce lo sguardo dello scrittore sull’isola, descrivendo «non il mondo, ma un suo frammento», proprio come la fotografia registra frammenti di un tempo che non c’è più, quel tempo che non è altro che «una striscia di elastico che si allunga e si accorcia», come scrive Saramago. Dopo essere stato una prima volta a Lanzarote per fotografare l’autore nella sua nuova casa, Vilhena ritorna dopo la morte di Saramago per registrarne l’assenza, e allo stesso tempo la presenza scritta tra quelle pietre apparentemente inospitali, ma che hanno saputo accogliere al meglio chi ha sempre vissuto «con il paesaggio, non nel paesaggio», forse perché la loro memoria «è più profonda di quella degli esseri umani», come scrive la moglie dello scrittore, Pilar Del Río, nella breve nota che chiude il testo. Il bianco e nero di Vilhena, accompagnato dalle parole e dallo sguardo di Saramago, ci regala l’incontro tra un uomo e un paesaggio, tra un autore e la protagonista della sua opera, e il volumetto dell’editore pescarese Quarup, tradotto da Rita Desti, ci permette di scoprire Lanzarote sotto una veste completamente nuova, intima e coinvolgente, attraverso gli occhi di chi ha raccontato il mondo.
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