di Maria Tortora, Lankenauta, 31 gennaio 2019
Qualche anno fa, sul mio blog, ho scritto un post che si intitola “Lei è un’assenza” ed è dedicato a una persona che amo e che da anni è malata di Alzheimer. Alla fine, per descrivere sinteticamente il suo stato, l’ho paragonata a un “pianeta disperso”. Un pianeta che, a ben guardare, potrebbe essere proprio Plutone, il pianeta nano che orbita nella parte più esterna del sistema solare, nella fascia di Kuiper. È distante sette miliardi e mezzo di chilometri dalla Terra ed è formato da ghiaccio e roccia. “Ci sono somiglianze davvero notevoli tra il morbo di Alzheimer e Plutone: isolamento profondo, silenzio assordante, un ambiente ostile e un mondo di inimmaginabili contrasti“. Per questo Greg O’Brien, affetto da Alzheimer, ha individuato un’assonanza tra la sua malattia e le condizioni di un pianeta nano tanto distante e tanto inospitale. Il progetto di O’Brien è sicuramente speciale: “Un posto chiamato Plutone è il primo libro scritto da un giornalista investigativo, infiltrato nella mente dell’Alzheimer, per fare la cronaca delle progressione della malattia che lo ha colpito in prima persona“.
Greg nel 2009 ha soli 59 anni ma, dopo una caduta dalla bicicletta e un brutto trauma cranico che ha svelato la malattia in atto, gli viene diagnosticata una forma precoce di Alzheimer. Fino a poco prima ha assistito sua madre colpita dallo stesso male e suo padre malato di demenza senile e di cancro, deceduti a poca distanza l’una dall’altro. Il quadro è apparentemente angosciante eppure in Un posto chiamato Plutone non si ravvisa alcuna vera angoscia. Anzi, il libro è scorrevole e brillante, è spigliato e semplice da leggere. Perfettamente adatto a chiunque voglia capire un po’ meglio l’Alzheimer osservandolo dal suo interno perché a descriverci questo male, i suoi effetti e le sue progressive e perverse conseguenze, è proprio Greg, un malato di Alzheimer. Nessun dramma, nessun lacrimoso pietismo: Greg è del tutto consapevole della degenerazione che le cellule del suo cervello patiscono giorno dopo giorno eppure racconta con estrema sincerità e discreto senso dell’umorismo le derive e i deliri che la sua mente produce.
Greg è un giornalista e uno scrittore. Sa governare perfettamente gli strumenti narrativi, è un ottimo osservatore di se stesso e di ciò che lo circonda e ha pensato che mettere nero su bianco la sua esperienza personale a contatto diretto con l’Alzheimer avrebbe potuto aiutare lui a conservare tracce del suo percorso ma anche, e soprattutto, aiutare altre persone ad avvicinarsi a questo morbo infame con maggiore cognizione e intelligenza. “Un posto chiamato Plutone non è un’orgia di autocommiserazione, o un memoir della sfiga. È la guida redatta da parte di uno che sta dentro la faccenda, una road map generazionale su come si debba affrontare questo killer astuto per resistergli il più a lungo possibile“. Greg sa benissimo che al momento non ci sono speranze: per l’Alzheimer non esiste una cura. Sa che il tempo e il male porteranno via dalla scatola della sua memoria tutto quello che ha vissuto, conservato e amato per sostituirlo con il disorientamento, la confusione, la depressione, la mancanza di parole e la rabbia. Sa che il suo decadimento è inevitabile e inarrestabile, ma sa anche che può lavorare per convivere con il caos, per non ritrovarsi nel buio totale di Plutone.
La gestione dell’Alzheimer è molto complicata per chi è malato ma anche, e soprattutto, per le famiglie che si trovano al cospetto di una persona che apparentemente è identica a se stessa ma che viene gradualmente erosa e cancellata in tutte le sue peculiarità sensoriali, emotive e caratteriali. Greg O’Brien è un americano d’Irlanda, se così si può dire. Ha ereditato dai suoi progenitori irlandesi un carattere forte e un grande impeto. Racconta tutto con irruenza e autenticità, non si risparmia in alcun modo e, anche per questo, descrive spesso i momenti più imbarazzanti e insensati che si è trovato a vivere “fuori da sé” per colpa del male. Gli episodi sono diversi: una scarpa lanciata addosso a sua moglie in aeroporto, il terrore paralizzante di essersi perso all’interno di un hotel, la rabbia incontenibile che sente salire in varie circostanze. Greg parla con forza e onestà delle sue quotidiane debolezze e delle sue folli allucinazioni. Mette il lettore di fronte alle anomalie e ai disordini che vive perché malato e lo fa analizzando i fatti dall’interno del suo male: “Descrivo le fasi iniziali dell’Alzheimer come una spina allentata in una presa. A volte la luce guizza; a volte la spina cade. È la maledizione di questa malattia“.
Da buon irlandese, Greg crede profondamente in Dio. È certo che ci siano sempre angeli buoni pronti a proteggerlo, come racconta. La fede occupa una parte rilevante della sua vita e di questo libro, per lui e la sua famiglia è uno strumento di lotta imprescindibile. La preoccupazione che Greg ribadisce più volte tra le pagine di “Un posto chiamato Plutone” dovrebbe allarmare chiunque: la medicina permette ormai agli uomini di vivere molto più a lungo di una volta ma, allo stesso tempo, la diffusione irrefrenabile dell’Alzheimer rischia di trasformare la vita in una pessima copia di se stessa. Questo male colpisce persone anziane, ma anche persone che anziane non sono ancora, e colpisce soprattutto le donne. I costi sanitari per la gestione dei malati di Alzheimer salirà in maniera vertiginosa nei prossimi anni/decenni. Secondo le proiezioni qui riportate, nel 2050 gli Stati Uniti dovranno far fronte a una spesa sanitaria che si aggirerà attorno ai 20 trilioni di dollari solo per gestire la cura dei malati di Alzheimer e supportare chi assiste i malati. Anche per questo, spiega Greg, è urgente che la ricerca venga finanziata in maniera adeguata e l’attenzione nei confronti di tale spietato morbo sia sempre più alta.
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