Descrizione
Storie in cui noi ci riconosciamo, noi visceralmente legati all’altro e bisognosi della sua scomparsa, inevitabilmente impegnati in una strategia di resistenza, spietati, esilaranti, fragili sanguinari goffi e impacciati come tutti gli esseri chiusi in una gabbia senza uscita.
Un quadro lancinante e verissimo della modernità che tenta di sopravvivere a se stessa
Juliette e suo marito Georges sapevano che la loro felicità “era per sempre”. “O meglio, quasi”, perché non si lascia mica per calcolo un locale sul Saint-Germain per seguire un pastore còrso impegnato in una faida in piena regola. Eppure succede, e a ragionarci è semplicemente ovvio: “to fall in love, dicono gli inglesi, che non è nemmeno innamorarsi, è proprio cadere nell’amore, come in prima linea, al fronte, in guerra, fulminati, quand’è davvero to fall in love”. E allora ti capita di mollare tutto, per un “folle amore”.
E poi Antoinette, con i “capelli di neve impeccabilmente pettinati”, ha un cancro e vive da sola in una casa che nel giro di pochi mesi “le si è ristretta” addosso: “valigie, scatole, casse, cartoni, borse della sua ingolfata discendenza, la sua casa trasformata in un deposito di bagagli, lei stessa messa in giacenza, almeno fino allo sgombero finale”.
C’è Alex Grosser, direttore cinquantacinquenne di una multinazionale, abbronzato sportivo spregiudicato e coniugato, sicuro che Lætitia, impiegata trentaseienne in prova, reduce da licenziamento&divorzio, non saprà resistergli: il suo contratto a tempo determinato sta per scadere…
E poi vicini di casa di estrazione troppo diversa e perennemente in guerra, candidati “solidi” a un posto di responsabilità per una multinazionale con relativo staff di esaminatori annoiati, muratori invalidi per cause di servizio da licenziare “con rammarico, rispetto e desolazione”: è la brutalità nascosta del quotidiano messa in scena da Luc Lang.
Sedici racconti in cui l’autore sfodera il suo ghigno sull’umanità e ne rivela l’essenza: il reciproco impulso distruttivo che prima o poi si genera in ogni relazione, perché è il male ciò che fa girare il mondo e paradossalmente lo preserva dalla dissoluzione, e il bene – se mai si intravede – è sempre e soltanto l’esterno, l’involucro ufficiale e tirato a lucido.
Storie in cui noi ci riconosciamo, noi visceralmente legati all’altro e bisognosi della sua scomparsa, inevitabilmente impegnati in una strategia di resistenza, spietati, esilaranti, fragili sanguinari goffi e impacciati come tutti gli esseri chiusi in una gabbia senza uscita.
Un quadro lancinante e verissimo della modernità che tenta di sopravvivere a se stessa.
Luc Lang
LUC LANG, nato a Suresnes (piccolo centro della cintura urbana parigina, sulla riva sinistra della Senna) nel 1956, da famiglia di estrazione operaia, è sicuramente uno tra i più premiati giovani scrittori francesi, e probabilmente il “più americano”. Autore fino ad oggi di otto opere di narrativa, ha visto riconosciuto il suo talento con il conferimento di premi come il Goncourt des Lycéens (per “Mille six cents ventres”, Fayard, 1998), l’Ozoir’elles (per “Cruels, 13”, Stock, 2008), il Prix Freustié (per “Voyage sur la ligne d’horizon”, Gallimard, 1988, suo libro d’esordio), il Prix du Livre de Picardie (per “Liverpool marée haute”, Gallimard, 1991). Oltre ai titoli citati, ha pubblicato “Furies” (Gallimard, 1995), “Les indiens” (Stock, 2001), “La fin des paysages” (Stock, 2006), e l’impressionante cronaca di un evento storico da lui vissuto in prima persona, “11 septembre mon amour” (Stock, 2003).
Alfredo Ronci –
Recensione di “13 crudeltà”
di Alfredo Ronci
Sul problema antologie abbiamo già discusso più volte sul Paradiso. Dico problema perché poi sulla questione le opinioni sono abbastanza univoche, ma la prassi continua nel bene o nel male.
In sintesi: perché si pubblicano ancora raccolte di racconti quando il mercato sembra non gradirle? Perché ci si ostina a farle quando è grasso che cola che all’interno di esse si possono trovare una o più storie riuscite e che strappano il consenso?
La crestomazia, se vogliamo, (intendasi col termine la presenza di autori diversi in uno stesso libro) può offrire più appigli ed interesse, proprio per il carattere più eterogeneo e ‘sfuggente’ dell’operazione. Meno l’antologia di racconti di uno stesso autore, perché si sa, già l’asfittico panorama letterario internazionale suda sette camicie per trovare un nome, ma soprattutto una storia, che sia tale, figuriamoci azzardare una successione di racconti di un unico scrittore.
Perché il flop è dietro l’angolo, e non semplicemente per una inadeguatezza dello scrivente, quanto per una questione statistica: crediamo che nemmeno a Proust sia riuscito di fare bene in ogni occasione.
Palla al centro: Luc Lang, parigino, non è alla prima apparizione italiana. Era stato già fatto oggetto d’interesse da parte di Passigli. Qui innanzitutto mente sul numero delle crudeltà, perché il titolo ne indica appunto tredici, ma nel libro ce ne sono diciassette (forse perché il diciassette porta sfortuna?).
Dice delle sue opere: in esse si riflette la consapevolezza del cambiamento, della necessità del cambiamento, di un cambiamento che si impone e si riformula in definitivamente.
Sia, ma non ne dà prova: le crudeltà di cui racconta nel libro sono ‘semplici’ accadimenti nel rutilante mondo contemporaneo. Accadimenti guardati secondo una logica ‘fotografica’ che ha già visto alla verifica altri autori. Perché non vediamo nulla di nuovo (e quindi nessun cambiamento se prendiamo atto delle ambizioni dello stesso Lang) in un uomo che si comporta in modo molto scorretto nei confronti del vicino che ha costruito abusivamente (Sniper). Non vediamo nulla di originale nella donna che ha un incidente con la macchina solo perché il suo ex amante lo ha previsto (Sinistra). Non vediamo nulla di trascendentale nell’episodio in cui un guardiano cinico invita un bambino a dar da mangiare ad un grosso uccello e questo stesso mangia le mani dell’inconsapevole vittima (Iniziazione). Non ci strappiamo i capelli (sempre per chi ce l’ha) per la donna che per evitare che si faccia scopare dal suo datore di lavoro veste i panni di una sadomaso con tanto di frusta (Vita privata). Tanto meno scorgiamo lumi nella vicenda del tizio a cui piace procurare incidenti automobilistici (Flusso). E nemmeno perdiamo il sonno per il cameramen che per sistemare il suo strumento di lavoro dimentica di indossare il paracadute e quindi si schianta durante una prova di volo (Il viso?).
Insomma, citando un’opera letteraria decisamente più riuscita, niente di nuovo sul fronte occidentale. Ad essere cattivi (tanto lo siamo) 13 crudeltà ricorda un po’ l’incidere di quella che forse è stata, in Italia, l’ultima antologia che ha vendicchiato e ha fatto parlare di sé (ma solo perché tutto era organizzato e preordinato): Gioventù cannibale.
Ma il futuro ha mostrato i risultati.
Manuel Graziani –
di Manuel Graziani, Rumore
Elio Grasso –
di Elio Grasso, Pulp Libri
Liliana Di Ponte –
di Liliana Di Ponte
Liliana Di Ponte –
“13 crudeltà ” di Luc Lang
di Liliana Di Ponte, Libere Recensioni, 9 maggio 2010
Diciamolo subito, per chiunque si appresti a leggere questo libro: qui non c’è consolazione né happy end né riscatto né speranza, il male trionferà sul bene, i nostri non arriveranno all’ultima riga e salvare l’eroe anzi, se possibile, gli daranno il colpo di grazia. Già il titolo “13 crudeltà”, di Luc Lang, dovrebbe metterci sull’avviso: 16 racconti con uno mancante, il tredicesimo appunto, che tutti li racchiude e li genera, come figli dello stesso genitore, diversi tra loro ma accomunati da uguale imprinting. Storie dure, ma lontanissime dalle fiction televisive e dalla rassicurante inverosimiglianza delle loro efferatezze. Niente serial killer, psicopatici bipolari, stupratori accaniti, pedofili (laici o clericali che siano), truffatori spietati: nient’altro che la semplice, banale, familiare quotidianità che tutti ci contiene e avvolge, come un utero che dà la vita e, all’occorrenza, la sfibra, la dissecca, la stritola fin quasi a toglierla. Nessuno viene risparmiato: bambini innocenti, anziani fragili, donne e uomini all’apparenza vincenti, deboli predestinati al sacrificio, perdenti senza speranza. Sono madri, padri o figli di qualcuno e nello spazio di poche pagine si consuma, inesorabile, tutta la tragicità ambivalente delle relazioni. C’è Antoinette dai capelli di neve, parcheggiata nella propria casa in attesa della fine, bagaglio fra i bagagli (Alto-basso-fragile). O la coppia di anziani, incolpevoli responsabili di una mortale catena d’incidenti, procurata ad arte da altri (Flusso). E lo sguardo dei figli che si posa dolorosamente sulla mente svanita del padre (Il giorno del Signore) o su quella delirante della madre (Domenica) o sulla convinta e pervicace volontà uxoricida materna (Escalation). Ci sono le regole spietate – esplicite o inconfessabili – del mercato del lavoro, con la selezione all’ultimo sangue fra candidati a un posto di alta responsabilità (Aria condizionata); il cinico epilogo di un incidente in un cantiere (Schivata); e un ricatto sessuale, scopo assunzione, che fino alla fine ci fa illudere su un lieto fine che non arriverà (Vita privata). E ancora amori finiti o mai cominciati, piccole sopraffazioni dall’aria innocente e cattiverie gratuite, o semplicemente la cieca legge del caso che fa e disfa destini. È proprio questa normalità, pericolosamente familiare, che inquieta. Ma noi non siamo così – cerchiamo di rassicurarci – noi ne siamo fuori, i cattivi sono gli altri. Eppure – ci mulina in testa un pensiero molesto – potremmo essere noi, il figlio di quel padre smemorato da accompagnare nella casa di riposo; noi, il vicino intollerante verso lo straniero; noi, l’automobilista incivile e il manager in carriera. Perché mai il bene dovrebbe trionfare sul male, se ne siamo così impastati da non riuscire più a distinguere l’uno dall’altro? Luc Lang ci fornisce uno specchio in apparenza deformante in cui rifletterci, un manuale sul nostro tempo, in cui le istruzioni per l’uso servono solo a contemplare il lavoro già compiuto. E lo fa con una scrittura prosciugata, incisiva e priva di qualsivoglia tentazione di giudizio, mettendosi sempre dalla parte, contemporaneamente, della vittima e del carnefice, perché non c’è da fare altro, la vita è questa e per sapere chi siamo noi, basta specchiarci.
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