Descrizione
I personaggi che popolano i tredici racconti che compongono I draghi non conoscono il paradiso, sono fatti della stessa materia di cui siamo fatti noi, e come noi stanno turbinosamente sospesi tra l’estasi e la disfatta.
Single occupati di giorno nelle attività del terziario avanzato e appollaiati di notte sopra megalopoli nei loro microappartamenti – tra libri, dischi e amori distanti – che restano incerti tra prepararsi un sushi o farla finita, disingannati e stanchi vacanzieri che si incontrano, e si sfiorano nei “loro bungalow a cinque stelle e antenna parabolica”, donne di quasi quarant’anni, con la loro “indissimulabile stanchezza”, che scoprono il sesso feroce nella notte del Venerdì Santo.
I personaggi che popolano i tredici racconti che compongono I draghi non conoscono il paradiso, sono fatti della stessa materia di cui siamo fatti noi, e come noi stanno turbinosamente sospesi tra l’estasi e la disfatta. Linda, Bella di notte, Scarpette rosse, L’altra voce, Senz’anna, blues, e tutti i draghi sono storie di nostri contemporanei, o meglio ancora di noi stessi, che parlano di noi e per noi, con tenerezza, lucidità e coraggio.
I sentimenti si dispiegano con la forza di un uragano, quella stessa forza che hanno nel mondo “reale”, e noi non possiamo non riconoscerci nella sete di affetto, di sesso, di successo, di vendetta o di semplice sopravvivenza a quell’universo che fa muovere, contorcere e danzare i protagonisti di questi racconti.
Caio Fernando Abreu ha vissuto, ed ha saputo raccontare come pochi e fino all’estremo la nostra condizione di uomini di questo presente, e con I draghi non conoscono il paradiso, la sua opera forse più stilisticamente compiuta, assembla le sue – e nostre – storie in un viaggio a tappe condotto con la precisione di un naturalista e il vaneggiamento di un dannato.
Per trovare sempre, “anche dentro l’oscurità, una specie di luce”.
La vita, semplicemente.
Caio Fernando Abreu
Nato il 12 settembre del 1948, CAIO FERNANDO ABREU è oggi riconosciuto come l’esponente più “internazionale” della novissima letteratura brasiliana, sia per il successo di critica e di pubblico riscosso dalle sue opere pubblicate in molti paesi d’Europa, sia per l’attualità e l’universalità della sua voce. Esordiente, ad appena diciotto anni col romanzo “Limite branco”, proseguirà per tutta la vita la carriera di scrittore (scrivere, diceva, è “una cosa naturale, inevitabile, quasi un difetto di fabbricazione”) parallelamente alla sua attività di giornalista. I suoi libri, raccolte di racconti, romanzi, intensissime cronache, sceneggiature cinematografiche e teatrali, ricevono ben presto premi e menzioni speciali nei concorsi letterari, fino alla consacrazione: nel 1985 “Triângulo das Águas” gli valse il prestigiosissimo Prêmio Jabuti, replicato tre anni dopo grazie a “I draghi non conoscono il paradiso”.
Scopertosi portatore del virus dell’aids nel 1994 (malattia di cui è morto due anni più tardi), ha continuato fino agli ultimi giorni a trasmettere la testimonianza vividissima e rara del suo amore per la scrittura e per la vita.
Autore-culto in tutto il mondo, in vita e ancora di più oggi, a più di dieci anni dalla morte, è proposto con questo libro per la prima volta in versione integrale al pubblico italiano.
Valentina Timpani –
Intervista Mompracem
di Valentina Timpani
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Barbara Gozzi –
(In)ter(per)culturando: Caio Fernando Abreu attraverso gli occhi del traduttore Bruno Persico
di Barbara Gozzi, Agoravox, 5 maggio 2011
– Tu não avisou que vinha – ela resmungou no seu velho jeito azedo, que antigamente ele não compreendia. Mas agora, tantos anos depois, aprendera a traduzir como que-saudade, seja-benvindo, que-bom-ver-você ou qualquer coisa assim. Mais carinhosa, embora inábil.
Abraçou-a, desajeitado. Não era um hábito, contatos, afagos. Afundou tonto, rápido, naquele cheiro conhecido – cigarro, cebola, cachorro, sabonete, creme de beleza e carne velha, sozinha há anos. Segurando-o pelas duas orelhas, como de costume, ela o beijou na testa. Depois foi puxando-o pela mão, para dentro.
– A senhora não tem telefone – explicou. – Resolvi fazer uma surpresa.
Acendendo luzes, certa ânsia, ela o puxava cada vez mais para dentro. Mal podia rever a escada, a estante, a cristaleira, os porta-retratos empoeirados. A cadela se enrolou nas pernas dele, ganindo baixinho.
– Sai, Linda – ela gritou, ameaçando um pontapé. A cadela pulou de lado, ela riu. – Só ameaço, ela respeita. Coitada, quase cega. Uma inútil, sarnenta. Só sabe dormir, comer e cagar, esperando a morte.
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– Non mi hai detto che venivi – farfugliò con quel suo tono aspro a lui familiare, che un tempo non capiva. Ma che ora, dopo tanti anni, aveva imparato a interpretare come un quanto-mi-sei-mancato, dài-entra, che-bello-rivederti, o qualcosa di simile. Più affettuosa, anche se un po’; goffa.
Lui l’abbracciò, impacciato. Non era consueto per loro, quel contatto, quelle carezze. Sprofondò intontito, rapido, in quell’odore conosciuto – sigaretta, cipolla, cane, sapone, crema di bellezza, carne vecchia, e tanti anni di solitudine. Afferrandogli le orecchie, come usava fare, lo baciò sulla fronte. Poi prese a tirarlo con la mano verso l’interno.
– Ma come facevo ad avvisarti se non hai un telefono – rispose. – Ho deciso di farti una sorpresa.
Mentre accendeva luci, una certa ansia, lo tirava sempre di più verso l’interno. A mala pena riuscì a distinguere la scala, la libreria, la cristalliera, i portafotografie impolverati che non vedeva da tempo. La cagnetta che gli si attorcigliò intorno alle gambe, con un guaire sommesso.
– Via, Linda – lei gridò minacciando di darle un calcio. La cagnetta si tirò in disparte, e lei rise. – Basta una minaccia e obbedisce. Povera, è quasi cieca. Un essere inutile, rognoso. Sa solo dormire, mangiare e cagare, aspettando la morte.
Nel libro I draghi non conoscono il paradiso, nello specifico, i racconti hanno identità proprie, in alcuni casi sono anche scritti con ritmi, registri e scelte stilistiche e strutturali differenti. Nell’originale, Le è sembrato che Abreu fosse più concentrato sulle ‘diversità individuali’ o sulle ‘sottotracce comuni’? Quanto il Suo lavoro si è concentrato sul tradurre intenti diversificativi e quando invece ha ritenuto di restituire nella traduzione italiana elementi e caratteristiche volte a individuare le specifiche stilistiche e linguistiche dell’autore?
Credo che uno dei motivi che animano l’intera produzione di Abreu sia l’indagine del rapporto tra ordine e caos, indagine che ha trovato piena espressione nel racconto “Dodecaedro” della raccolta “Triângulo das Águas” del 1991, secondo me il (pur controverso) capolavoro assoluto di Abreu, alla cui traduzione sto lavorando per puro diletto. Per estensione possiamo dire che i racconti di Abreu sono costanti traduzioni letterarie del caos di emozioni, passioni e dannazioni della complessa natura umana, a cui l’autore cerca di porre un ordine in quelle che Lei ha definito “sottotracce comuni”, le idee portanti che trovano espressione nei progetti letterari di ciascuna delle sue raccolte, che in tal modo smettono di essere semplici “raccolte” per tendere a un motivo di ordine superiore. Per l’autore, ordine e caos sono due aspetti dello stesso intento letterario, non credo che egli privilegiasse l’uno a discapito dell’altro. Nella traduzione italiana ho quindi sempre curato, come dicevo prima, di rispettare e riprodurre l’estrema varietà di toni e ritmi della scrittura di Abreu, pur cercando di caratterizzare la sua voce in modo da renderla inconfondibile per efficacia, incisività, ironia, musicalità e pregnanza.
È corretto secondo Lei considerare questa raccolta un assemblaggio i cui sapori diversi sono anche dovuti ai diversi momenti di scrittura, intenzioni e probabilmente idee precise sui singoli racconti?
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Alfredo Ronci –
Each man kills the things he loves (1). Io uccido Caio Fernando Abreu.
di Alfredo Ronci
In passato ho amato davvero Caio Fernando Abreu. Quando uscì Dov’è finita Dulce Veiga (2), sul Paradiso degli Orchi cartaceo n.4 scrivevo: Dulce Veiga, in poco tempo, si trasforma in un’ossessione, in un tormento di fuoco (…) Ecco allora Proust e la sua ossessiva richiesta d’amore materno, ecco Leroux (qui è visibile la propensione quasi tutta orchesca di mischiare sacro e profano. Chi mai avrebbe avuto il coraggio di accostare un monumento della letteratura, con uno scrittore sì popolare e famoso, ma del tutto prescindibile secondo alcuni critici?) col suo edipico bisogno di odori, ecco Collard (si era agli inizi degli anni ’90 e Cyril Collard era un po’ sulla bocca di tutti) e le sue notti selvagge e il suo sperma marchiato di Aids. Ancora. Il jazz. Billie Holiday che fa capolino tra le righe, perché Dulce Veiga, cantante notturna, le imita il canto, le ruba il vibrato rauchito (tutt’ora mi chiede se ‘rauchito’ sia un termine corretto, tant’è).
Fu allora un’esperienza esaltante e allo stesso tempo suggestiva: e gli avevo trovato un compagno ideale, quel Philip Ridley che pur con intendimenti e soggetti diversi – lo scrittore inglese ha sempre preferito parlare della sessualità dei ragazzi, piuttosto che delle problematicità dei rapporti tra adulti – raffigurava la ‘diversità’ col tratto leggero e pure audace della spontanea verità.
La lettura del bel volume delle edizioni quarup I draghi non conoscono il paradiso (3) mi ha posto di fronte ad un dilemma di prim’ordine: cos’è rimasto del fascino ammaliatore del portoghese dal momento che i racconti che compongono l’antologia mi lasciano indifferenti?
Meglio: come tutte le antologie ci sono momenti più riusciti ed altri meno. Non esito a definire Miele & girasoli (l’incontro e la passione e la fine improvvisa di questa stessa tra un uomo e una donna, ambedue sui trent’anni, durante una vacanza in un albergo a cinque stelle) e Piccolo mostro (l’iniziazione sessuale di un ragazzino da parte del cugino più grande) due piccoli capolavori, dove vi si scorge il sublime della parola giusta, appropriata ma mai disgiunta da un’elementarietà che proprio perché delicata ed impalpabile la fa grande, a tratti immensa.
Ma il resto cos’è? Vorrei essere cattivo con Abreu, proprio perché l’ho profondamente amato: un carosello inutile, spesso fotocopiato, della più deleteria sponda della cultura omosessuale, quella che ha trasformato il movimento in un baraccone di semplificazioni standard, con l’aggravio, peraltro, del pesante fardello dell’Aids, e di certi orpelli fastidiosi ed esagerati che hanno triturato la letteratura gay rendendola un triste, funereo, ferale avvicendamento di lutti . (Lo so, qualcuno qui mi attaccherà, ma tutt’oggi mi chiedo come mai non ho visto morire nei terribili anni ’90 intellettuali eterosessuali, e ritrovarmi a rimpiangere la lucidità di un Reinaldo Arenas, tanto per citarne uno e del quale è uscito recentemente Adìos a mamà. Dall’Avana a New York (4), che invece si è suicidato nel suo appartamento perché ossessionato e devastato dalla ‘peste del secolo’).
Con profonda onestà poi non ne posso più di quel grigiore che pervade l’opera di Abreu che sembra non un tratto distintivo della personalità stessa dell’autore, ma una condizione collettiva che vede da una parte (senza che la cosa possa sembrare contraddittoria) la verve rivastiola dell’immagine del gay codificato e dall’altra la sua per nulla speculare (o forse sì e allora sarebbe la risposta alla contraddizione) propensione al lutto.
Ecco dunque racconti oscuri e pervasi da un senso di tristezza insopportabile: Linda, una storia orribile (dove un ragazzo, malato di Aids, e daje!, torna a trovare la madre dopo tanto tempo), Foglie morte (l’innamoramento di un dodicenne per una coetanea che morirà a sedici anni per una leucemia) Senz’Anna, blues (un uomo non riesce ad elaborare l’abbandono da parte della donna amata, pur riuscendo, nonostante tutto, a cambiare vita), Il ragazzo più triste del mondo (in un bar un uomo di 40 anni ed un ragazzo di 20 si incontrano, si parlano, ma poi con la stessa rapidità con cui si sono conosciuti, si lasciano), Una piccola spiaggia di sabbia bianchissima, laggiù, in riva al fiume (dove un uomo ne uccide un altro solo perché non riesce ad averlo).
Nel film di Totò, Totò a colori, Franca Valeri, che recitava la parte di una viziosetta squinzia proprietaria di una villa a Capri, stanca e annoiata della vita di mare decide improvvisamente di partire perché, aveva voglia di neve, di montagna, di Zeno Colò.
Ecco, per una volta tanto, mettiamo da parte una letteratura invecchiata precocemente sotto i colpi d’ariete non di una società troppo moderna ed tecnologica, ma di una generazione di scrittori autoreferente e spenta e dedichiamoci ad altro, chessò: a Will & Grace, a Joe Keenan, alle casalinghe disperate, allo stesso Busi, che chissà perché (ma io lo so) è amato più dalle donne etero che dagli stessi gay e al sesso (diffido però del ‘vecchio ‘Genesis P.Orridge, o di quelli come lui, che siccome non ha nulla da fare s’inventa la pandroginia, che riguarda la celebrazione della gioia, del rifiuto di arrendersi all’oscurità dei tempi e rappresenta il piacere come arma e come energia culturale perché l’ermafroditismo, il pandrogino, è il simbolo dell’unità piuttosto che della separazione) senza lo spauracchio di una falsa malattia che, e cito Ginsberg, ha rovinato le migliori menti della mia generazione.
Ma nonostante tutto non ho il coraggio di abbandonare Abreu: lo considero una creatura celestiale, pur se ‘insozzato’ di blues terreni. Questa antologia (per i più pignoli: il libro che fu pubblicato da Zanzibar qualche annetto fa, Molto lontano da Marienbad (5), include già cinque racconti presenti in questa) mantiene qualcosa di magico ed indefinito. Si diceva prima della ‘purezza’ della parola, che a volte, quando fa a meno di orpelli fuliginosi, riesce a librarsi per quella sorta di incantesimo letterario che solo i grandi esprimono. Ma si può dire anche della personale ricerca del tempo perduto dell’artista , per quanto questo stesso tempo sia stato troppo poco. Anche Abreu è morto di Aids nel ‘lontano’ 1996.
E’ vero, anch’io uccido le persone che amo, ma quel che resta, come fosse polvere, perché dalla polvere veniamo, viene respirato ed assimilato. Comunque ossigeno.
Francesco Gnerre –
di Francesco Gnerre, Pride, marzo 2009
Matteo B. Bianchi –
di Matteo B. Bianchi, Shorts, gennaio 2009