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Un posto chiamato Plutone

(2 recensioni dei clienti)

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Un posto chiamato Plutone è il coraggioso e toccante memoir di Greg O’Brien: un resoconto in prima persona del proprio declino, fisico e mentale, causato dall’Alzheimer, a cui un uomo ironico e brillante assiste con forza e incredulità.

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Descrizione

Un posto chiamato Plutone è il coraggioso e toccante memoir di Greg O’Brien: un resoconto in prima persona del proprio declino, fisico e mentale, causato dall’Alzheimer, a cui un uomo ironico e brillante assiste con forza e incredulità.  Greg vuole continuare a essere ciò che è, un giornalista investigativo, e così inizia – con il metodo consueto – a indagare e a spiare la mente dell’Alzheimer, che poi, guarda caso ora è anche la sua.
“Vulnerabile, ma ancora in piedi” allora continua. A correre, studiare e scrivere, “per sentirsi di nuovo tutto intero”, in attesa di essere sparato come con una fionda nel buio più assoluto, sul pianeta Plutone – un luogo sperso nello spazio profondo, un posto migliore, e più calmo.
Greg O’Brien si ostina, in quell’attesa, a vivere con l’Alzheimer, e ce lo racconta in questo manuale di sopravvivenza: liste infinite di promemoria nel tentativo di ricordare, dentifrici e saponi etichettati per non sbagliare, discorsi imparati a memoria come un copione e continue corse notturne nel tentativo di arginare quella maledetta confusione che si risveglia sempre al calar del sole.
Non c’è rassegnazione, nemmeno un po’, né autocommiserazione, ma saggia accettazione di ciò che è, ci piaccia o meno. Ma alla fine, per dirla con Ernest Hemingway, “non c’è nessuno che il mondo non spezzi, però molti poi si rafforzano nel punto in cui sono stati spezzati”.

 

Greg O’Brien

Greg O’Brien è stato per più di trentacinque anni giornalista investigativo, scrivendo per testate prestigiose come il «Washington Post», il «Chicago Tribune», la «Associated Press», l’«Arizona Republic», il «Boston Herald», il «Boston Magazine» e moltissime altre.
La sua vastissima esperienza in campo editoriale gli ha permesso di affrontare, con lo stesso piglio e metodo, il racconto della sua malattia, l’Alzheimer, che gli è stata diagnosticata nel 2009, e che è il nucleo di questo libro tanto autobiografico quanto “oggettivamente” disincantato. Attualmente è presidente dello Stony Brook Group, agenzia di comunicazione e strategie politiche, e vive a Cape Cod con la famiglia.
Dalla sua storia il “leggendario” regista Steve James ha tratto il cortometraggio dal titolo A place called Pluto, proiettato e acclamato in numerosi festival cinematografici negli Stati Uniti, tra i quali il Tribeca Film Festivaldi New York.

Informazioni aggiuntive

Autore

Collana

ISBN

978.88.95166.42.1

Pagine

464

Formato

14×21

Traduzione

Alessandro Agus, Valerio Murri

2 recensioni per Un posto chiamato Plutone

  1. Maria Tortora

    Un posto chiamato Plutone
    di Maria Tortora, Lankenauta, 31 gennaio 2019

    Qualche anno fa, sul mio blog, ho scritto un post che si intitola “Lei è un’assenza” ed è dedicato a una persona che amo e che da anni è malata di Alzheimer. Alla fine, per descrivere sinteticamente il suo stato, l’ho paragonata a un “pianeta disperso”. Un pianeta che, a ben guardare, potrebbe essere proprio Plutone, il pianeta nano che orbita nella parte più esterna del sistema solare, nella fascia di Kuiper. È distante sette miliardi e mezzo di chilometri dalla Terra ed è formato da ghiaccio e roccia. “Ci sono somiglianze davvero notevoli tra il morbo di Alzheimer e Plutone: isolamento profondo, silenzio assordante, un ambiente ostile e un mondo di inimmaginabili contrasti“. Per questo Greg O’Brien, affetto da Alzheimer, ha individuato un’assonanza tra la sua malattia e le condizioni di un pianeta nano tanto distante e tanto inospitale. Il progetto di O’Brien è sicuramente speciale: “Un posto chiamato Plutone è il primo libro scritto da un giornalista investigativo, infiltrato nella mente dell’Alzheimer, per fare la cronaca delle progressione della malattia che lo ha colpito in prima persona“.

    Greg nel 2009 ha soli 59 anni ma, dopo una caduta dalla bicicletta e un brutto trauma cranico che ha svelato la malattia in atto, gli viene diagnosticata una forma precoce di Alzheimer. Fino a poco prima ha assistito sua madre colpita dallo stesso male e suo padre malato di demenza senile e di cancro, deceduti a poca distanza l’una dall’altro. Il quadro è apparentemente angosciante eppure in Un posto chiamato Plutone non si ravvisa alcuna vera angoscia. Anzi, il libro è scorrevole e brillante, è spigliato e semplice da leggere. Perfettamente adatto a chiunque voglia capire un po’ meglio l’Alzheimer osservandolo dal suo interno perché a descriverci questo male, i suoi effetti e le sue progressive e perverse conseguenze, è proprio Greg, un malato di Alzheimer. Nessun dramma, nessun lacrimoso pietismo: Greg è del tutto consapevole della degenerazione che le cellule del suo cervello patiscono giorno dopo giorno eppure racconta con estrema sincerità e discreto senso dell’umorismo le derive e i deliri che la sua mente produce.

    Greg è un giornalista e uno scrittore. Sa governare perfettamente gli strumenti narrativi, è un ottimo osservatore di se stesso e di ciò che lo circonda e ha pensato che mettere nero su bianco la sua esperienza personale a contatto diretto con l’Alzheimer avrebbe potuto aiutare lui a conservare tracce del suo percorso ma anche, e soprattutto, aiutare altre persone ad avvicinarsi a questo morbo infame con maggiore cognizione e intelligenza. “Un posto chiamato Plutone non è un’orgia di autocommiserazione, o un memoir della sfiga. È la guida redatta da parte di uno che sta dentro la faccenda, una road map generazionale su come si debba affrontare questo killer astuto per resistergli il più a lungo possibile“. Greg sa benissimo che al momento non ci sono speranze: per l’Alzheimer non esiste una cura. Sa che il tempo e il male porteranno via dalla scatola della sua memoria tutto quello che ha vissuto, conservato e amato per sostituirlo con il disorientamento, la confusione, la depressione, la mancanza di parole e la rabbia. Sa che il suo decadimento è inevitabile e inarrestabile, ma sa anche che può lavorare per convivere con il caos, per non ritrovarsi nel buio totale di Plutone.

    La gestione dell’Alzheimer è molto complicata per chi è malato ma anche, e soprattutto, per le famiglie che si trovano al cospetto di una persona che apparentemente è identica a se stessa ma che viene gradualmente erosa e cancellata in tutte le sue peculiarità sensoriali, emotive e caratteriali. Greg O’Brien è un americano d’Irlanda, se così si può dire. Ha ereditato dai suoi progenitori irlandesi un carattere forte e un grande impeto. Racconta tutto con irruenza e autenticità, non si risparmia in alcun modo e, anche per questo, descrive spesso i momenti più imbarazzanti e insensati che si è trovato a vivere “fuori da sé” per colpa del male. Gli episodi sono diversi: una scarpa lanciata addosso a sua moglie in aeroporto, il terrore paralizzante di essersi perso all’interno di un hotel, la rabbia incontenibile che sente salire in varie circostanze. Greg parla con forza e onestà delle sue quotidiane debolezze e delle sue folli allucinazioni. Mette il lettore di fronte alle anomalie e ai disordini che vive perché malato e lo fa analizzando i fatti dall’interno del suo male: “Descrivo le fasi iniziali dell’Alzheimer come una spina allentata in una presa. A volte la luce guizza; a volte la spina cade. È la maledizione di questa malattia“.

    Da buon irlandese, Greg crede profondamente in Dio. È certo che ci siano sempre angeli buoni pronti a proteggerlo, come racconta. La fede occupa una parte rilevante della sua vita e di questo libro, per lui e la sua famiglia è uno strumento di lotta imprescindibile. La preoccupazione che Greg ribadisce più volte tra le pagine di “Un posto chiamato Plutone” dovrebbe allarmare chiunque: la medicina permette ormai agli uomini di vivere molto più a lungo di una volta ma, allo stesso tempo, la diffusione irrefrenabile dell’Alzheimer rischia di trasformare la vita in una pessima copia di se stessa. Questo male colpisce persone anziane, ma anche persone che anziane non sono ancora, e colpisce soprattutto le donne. I costi sanitari per la gestione dei malati di Alzheimer salirà in maniera vertiginosa nei prossimi anni/decenni. Secondo le proiezioni qui riportate, nel 2050 gli Stati Uniti dovranno far fronte a una spesa sanitaria che si aggirerà attorno ai 20 trilioni di dollari solo per gestire la cura dei malati di Alzheimer e supportare chi assiste i malati. Anche per questo, spiega Greg, è urgente che la ricerca venga finanziata in maniera adeguata e l’attenzione nei confronti di tale spietato morbo sia sempre più alta.

    Leggi la recensione nella sua pagina web

  2. Geraldina Colotti

    Viaggio nel buio
    di Geraldina Colotti, Le Monde diplomatique/Il Manifesto, 22 marzo 2019

    È un pugno nello stomaco questo libro di Greg O’Brien intitolato Un posto chiamato Plutone. Il volume – a cura di Milena de Luca, traduzione di Alessandro Agus e Valerio Murri, prefazione di Lisa Genova, edito da Quarup a fine 2018 – trascina il lettore «dentro la mente dell’Alzheimer». Una malattia che, secondo i calcoli dell’Associazione internazionale contro l’Alzheimer, colpisce una persona nel mondo ogni tre secondi. I centri per il controllo e la prevenzione, dal 1999 al 2014 hanno registrato un incremento del 55{dbde46d594618d833e80d55d58a98c061e383b1e822c22ef6679f34d84b3d72f} del tasso medio di mortalità per Alzheimer e si prevede che, nei prossimi anni, il numero dei morti aumenterà in modo vertiginoso. Attualmente, sono 5,5 milioni gli statunitensi ufficialmente malati, al netto di coloro che sono affetti da Alzheimer ma non ne sono consapevoli. Entro il 2050, il numero raddoppierà, fino a toccare i 13,8 milioni di casi. Le diagnosi certificate nel mondo per questa malattia, che colpisce più le donne che gli uomini, riguardano circa 30 milioni di persone, ma si calcola che oltre 135 milioni di persone sono destinate a sviluppare una qualche forma di demenza a livello globale. In Italia, la malattia risulta al sesto posto nella classifica delle cause di morte.

    Un posto chiamato Plutone analizza il drammatico avanzare della patologia e le sue conseguenze, su chi ne è colpito e sui familiari, attraverso il racconto dell’autore, giornalista investigativo e firma di testate prestigiose come il «Washington Post» per più di 35 anni.

    Con una scrittura precisa e coinvolgente, venata di ironia, O’Brien descrive le strategie messe in atto per resistere alla malattia, ben sapendo che il declino comunque arriverà, inarrestabile. L’Alzheimer – un morbo che deve il suo nome al nome del medico che, nel 1906 individuò per primo placche amiloidi e grovigli neurofibrillari che privano il cervello della sua identità – avanza lentamente, uccidendo le cellule del tessuto nervoso. L’autore ne disseziona le tappe. Il primo stadio si manifesta mediante una crescente compromissione della facoltà di apprendimento e della memoria a breve termine, e comporta occasionali difficoltà nell’esprimersi. Il livello intermedio è quello a cui il giornalista si sta avvicinando quando decide di scrivere questo libro, fidando sulle “riserve cognitive” di una creatività ancora intatta. Nello stadio intermedio si verifica un progressivo decadimento che impedisce di svolgere alcune funzioni quotidiane: «la memoria a breve peggiora, si perdono i filtri, la rabbia si intensifica e di tanto in tanto si manifesta un’incapacità di riconoscere luoghi e persone che si conoscono, con l’aggiunta di problemi di incontinenza urinaria e intestinale; a volte si presentano anche allucinazioni». Lo stadio avanzato implica la perdita di controllo e il crollo completo delle funzioni, tanto cognitive che corporee.

    Per l’Alzheimer, l’autore usa l’immagine del dente di leone, il fiore giallo con le foglie dentellate che si ritiene esista da circa 30 milioni di anni: nasce come un fiore, poi diventa erbaccia, per morire poco a poco appassendo dalla testa in giù; «alla fine» – scrive – «le sue bianche e filamentose infiorescenze, soffici soffioni geneticamente identici alla pianta madre, volano via a impollinare il mondo».

    Un posto chiamato Plutone, «non è un’orgia di autocommiserazione, o un memoir della sfiga», ma un libro intenso, che invita a diversi piani di riflessione. Si può racchiudere in quella frase di Ernest Hemingway, che dice: «Non c’è nessuno che il mondo non spezzi, però molti poi si rafforzano nel punto in cui sono stati spezzati». Oppure, rifarsi a quello che «disse una volta il grande Bugs Bunny: non prendere la vita troppo sul serio, perché tanto nessuno ne esce vivo».

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