di Blue Bottazzi, Blue Bottazzi Beat, 9 luglio 2015
Fabio Cerbone è un romantico del sogno americano. È lui il motore di Roots Highway, il sito web più curato sulla musica americana delle radici, ed è lui l’autore di un bel mazzo di libri sul sogno americano, da Easy Ryders Sogni e illusioni Americane a Fuorilegge d’America: Hank Williams, Johnny Cash, Steve Earle fino a Levelland, nella periferia del rock americano.
Fabio Cerbone è anche un amico, dunque siamo in conflitto di interessi, che di solito nell’ambiente si risolve con una marchetta, nella speranza che alla prima occasione venga ricambiata.
Il suo nuovo libro si intitola America 2.0, canzoni e racconti della grande illusione, ed è finalmente una raccolta di racconti della nuova frontiera, un traguardo naturale per un autore “beat americano”.
La caratteristica peculiare di questi racconti è quella di essere derivati da canzoni rock, undici canzoni che hanno acceso l’immaginazione non solo di Fabio, ma di tutta una generazione di fruitori del rock’n’roll.
Un’idea di fascino, che negli anni era passata in mente anche a me, quando scrissi (negli ottanta) il racconto Pretty Flamingo e poi il racconto di Natale di un paio di inverni fa.
Il problema però dei racconti di Cerbone, dal mio punto di vista, è quello di non essersi solo ispirati, ma di diventare una versione in prosa delle canzoni in oggetto. E la prosa, non c’è verso, è sempre più debole della poesia. Cento parole non ne varrano mai quattro messe nell’ordine giusto, capaci nella loro semplicità ed essenzialità di evocare emozioni e immaginazione nell’ascoltatore.
Hai presente un verso come: “Now mister the day the lottery I win, I ain’t ever gonna ride in no used car again” (stammi a sentire, il giorno che vinco alla lotteria non metterò mai più piede su una macchina usata) – qualsiasi parola tu possa aggiungere può solo diluire. Ognuno di noi ha un film su queste canzoni, guardare quello di un altro è pericoloso come andare al cinema a vedere il film di un libro che ami…
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