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Una idea di letteratura
Franco Calandrini, Corpi estratti dalle macerie

di Alfredo Ronci, Il Paradiso degli Orchi

Il rintocco delle campane scocca un’ora imprecisata. Per adesso accontentiamoci di sapere che è pomeriggio. Nevica su Atyrau, la città del fango, adagiata circa venti metri sotto il livello del mare, in piena depressione caspica, nel Kazakhstan sud occidentale, più vicino a Mosca che alla sua capitale.
E in un hotel di questo inferno quasi di stenti c’è Martha (non diciamo la sua provenienza), capelli folti rosso rame, abbondante e regale, con il viso leggermente deturpato da una cicatrice, e Ivan (lo stesso), piccolo, arcigno e muscoloso.
Cosa succede in questo maniero?
A dire la verità nulla. Nulla nel senso che tra uno sberleffo e un altro, tra una ferocia ed un’altra, quel che poi si segnala è una forte passione e un forte senso di appartenenza.
Corpi estratti dalle macerie è un romanzo bisbigliato (anche se poi le urla si sentono eccome), è una storia che sembra prolungata nel tempo, ma che ha anche una corporeità attuale e segnata dalla mise-en-scène più materiale.
Cos’è allora che non funziona in questo quadro di amori e passioni travolgenti? Cos’è che non funziona in questa commedia di alti e bassi, dove il coinvolgimento è totale solo nel momento in cui ognuno dei due ha perso la strada del ritorno?
Non funziona l’amore.
Non funziona il modo di risvegliarsi e cantare la prima cosa che viene in mente, perché quella che si avverte è sempre la seconda.
Non funziona perché c’è un terzo: Allora dài facciamo un gioco, io faccio delle supposizioni e tu le chiudi. Ok? Dài, è un gioco bellissimo. Mettiti lì. No? Fa niente, mi stendo io. Senti: io adesso mi fermo qui e dico ad Ermes che non torno, secondo te che succede? Te lo dico io. Prende il primo volo e mi viene a prendere.
Ma anche l’eventualità del terzo verrebbe meno se ci fosse la volontà di fare meglio, di costruire qualcosa che sia in grado di superare non solo le passività del momento, ma anche le incertezze di tutta una vita.
Corpi estratti dalle macerie è proprio questo: faticare per trovarsi tra le dita non soltanto l’esito di un’esistenza, ma anche di un momento.
Il tentativo ultimo di far sì che il botto finale sia davvero quello mi lascia molto perplesso. C’è qualcosa che non racconta.
E che muore comunque.

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