di Alfredo Ronci, Il Paradiso degli Orchi, marzo 2019
Mentre leggevo questo romanzo mi ponevo una domanda (di quelle serie): di fronte ad un problema di carattere psicologico è meglio scrivere un libro o rivolgersi ad un buon psicanalista?
Perché questa storia, scritta da un giovane autore brasiliano, proprio questo interrogativo pone: come ci si dovrebbe comportare di fronte ad un fratello che per una serie di circostanze è stato adottato invece che essere sangue di famiglia?
In più si aggiungano cose non di poco conto: i genitori dello scrittore, quando presero il bambino, stavano in Argentina, nel periodo della dittatura, e in seguito, per problemi che solo possiamo immaginare, se ne fuggirono in Brasile, armi e bagagli.
Il nocciolo della questione è e rimane uno: ho paura di perdere mio fratello, e sento che lui mi sfugge a ogni frase.
Julián non rinnega le poche e buone cose che ha diviso con lui: So che lui mi proteggeva perché c’è un gesto abituale che è rimasto impresso nella mia memoria: la sua mano posata sulla mia nuca, l’indice e il pollice che fanno pressione sul mio collo, a turno, senza fare forza, solo per indicarmi la direzione del prossimo passa. Era così che mi guidava quando camminavamo fianco a fianco, in mezzo alla folla.
Non è solo una questione di carattere affettivo, ad un certo punto la dinamica assume proporzioni politiche: il ragazzo ha le sue origini in un paese che ha pagato col sangue la propria indipendenza e forse, nonostante l’amore e l’affetto dei genitori e di un fratello molto legato a lui, ha bisogno di altre strategie per essere in pace con se stesso.
Dice ancora l’autore: Mi pareva che il libro fosse una lunga lettera indirizzata a lui, una lettera che non avrebbe mai letto (e se il libro fosse stato una lunga lettera indirizzata a lui, questo è ciò che penso adesso, avrei dovuto scriverlo meglio, renderlo più sincero, più attento alla sua sensibilità). Ma il libro non era una lunga lettera indirizzata a lui, ragionai subito dopo, disteso sul letto, non so se sveglio o addormentato.
Mi rifaccio la domanda: di fronte ad un problema di carattere psicologico è meglio scrivere un libro o rivolgersi ad un buon psicanalista? Al di là delle capacità letterarie che uno possa avere o meno, la risposta però sarebbe un’altra. Io preferirei lo psicanalista.
Ma Fuks ha fatto un buon lavoro. Sincero ed emozionante. E va bene che per parlare di un fratello abbia scelto di farlo con la scrittura.