di: Julio Monteiro Martins
Cari amici della quarup, accompagno in silenzio, da lontano, ma sempre con grande interesse sin dalle vostre prime edizioni il percorso della casa editrice quarup. Il nome che avete scelto per molti versi mi riguarda da vicino: sono uno scrittore nato e cresciuto nella bella città di Niterói – parola che in lingua tupi-guarani, quella parlata dagli indios tamoio che abitavano quelle spiagge ai tempi delle prime caravelle portoghesi, significa “acque nascoste”, a causa delle tranquille insenature che ritagliano la baia di Guanabara, la stessa che bagna la città di Rio de Janeiro. Come me, è nato e cresciuto a Niterói lo scrittore Antônio Callado, l’autore del romanzo Quarup, il cui titolo vi ha ispirato.
Antônio Callado, oltre che romanziere di grande visione e sensibilità sociale, la cui narrativa disegna un ampio pannello umano della tragedia brasiliana, soprattutto degli anni del regime militare, era anche un grande giornalista e ha fatto il cronista nella Guerra del Vietnam per la BBC di Londra e per il Jornal do Brasil durante gli anni più crudeli. Questo mio illustre compaesano è stato per me un amico e un maestro. Ricordo con saudade la sua eleganza britannica, la pipa accesa in mano, i baffetti alla David Niven, un’apparenza esterna che contrastava (ma non veramente) con il suo spirito di uomo di sinistra agguerrito e temerario, coerente e determinato nei suoi progetti di costruzione di una società meno ingiusta, ciò che ai giorni nostri può sembrare una chimera, un’utopia ingenua di altri tempi. Nonostante fosse due generazioni più grande di me, nelle serate a casa di Laura e Cicero Sandroni, oggi presidente della Accademia Brasiliana, o nei Festival letterari degli anni ’70, insieme a sua moglie Ana Arruda, anche lei giornalista, spesso facevamo le ore piccole a chiacchierare sulla letteratura – erano gli elettrizzanti anni del “Boom letterario brasiliano” – o sulla situazione politica e internazionale. Parlavamo con totale libertà, animatamente, senza l’autocensura che opprimeva tanti di noi, timorosi che una spia della polizia politica dei generali, il DOPS, ci denunciasse il giorno dopo. Non avevamo paura perché credevamo di essere tra vecchi amici, ci conoscevamo bene, conoscevamo i libri di ciascuno di noi, anche quelli vietati dalla censura del regime, eravamo sicuri di essere protetti gli uni dagli altri (qualche decennio più tardi, tuttavia, quando parte degli archivi segreti del DOPS è venuta alla luce, abbiamo appreso con stupore che alcuni dei nostri colleghi erano anche informatori del governo, ma a quel punto Callado non era più tra noi e quindi si è risparmiato la delusione).
Il suo romanzo più famoso, Quarup (1967), è un epico tropicale, poi affiancato da altri libri sullo stesso tema, come Concerto Carioca e Bar Don Juan. È stato tradotto e pubblicato in Italia dalla Bompiani nel 1972 e poi, esaurite le prime edizioni, non è più stato ristampato, come purtroppo accade spesso in questo paese con i capolavori della moderna narrativa straniera. Il romanzo, ambientato negli anni ’60, il periodo di massima drammaticità della dittatura, ma anche il più eroico per quei molti che ad essa hanno opposto resistenza, sposta la sua bizzarra galleria di personaggi – preti e guerriglieri, prostitute di lusso, politici corrotti, artisti bohémien, studentesse comuniste e torturatori – dalla metropoli carioca alla foresta dello Xingù nell’Amazzonia. Qui tribù appena “scoperte” dagli indianistas della FUNAI festeggiavano nelle grandiose feste intertribali chiamate quarup il ritorno dei loro morti al mondo dei vivi, incarnati una seconda volta in grossi tronchi decorati con piume. Una cerimonia che durava diversi giorni, e commemorava la fertilità, la bellezza dei corpi dipinti dal rosso urucum e dal nero janipapo, le lotte/danze rituali, la musica, le bevande allucinogene fatte di erbe e di radici, l’immortalità dell’anima.
I ragazzi di Rio e São Paulo, i guerriglieri urbani che volevano un’improbabile rivoluzione socialista, si torturavano nella crisi della loro vocazione, in mezzo a discussioni politiche esaltate e a orge sfrenate sotto l’effetto di un potente afrodisiaco fatto della polvere di piccoli insetti secchi, la cantaridina. Tra una rapina a una banca e l’attacco a una caserma, la loro mente martoriata metteva in dubbio le fondamenta della loro stessa lotta, e il protagonista, il prete Nando, ne riassumeva le contraddizioni. Il gruppo finisce tra gli indios, nel ventre caldo e sperduto della patria, cercando di colmare un vuoto interiore inspiegabile e spietato, risultato di frustrazioni e utopie tradite, di un paese che si sgretolava davanti ai loro occhi mentre cercano di aggrapparsi alle loro vocazioni smarrite. Quarup, più che un romanzo politico, è un grande turbinio esistenziale, un’immensa avventura letteraria narrata ai confini estremi della condizione umana, nelle spaventose repubbliche emergenti del Sud del mondo, a ovest di niente.
Tutto questo è solo per dire quanto sono felice che un gruppo di giovani intellettuali italiani del Duemila abbia deciso di dare alla propria casa editrice un’identità legata a questo libro straordinario, scritto dal mio vecchio amico Antônio, un romanzo così intriso alla mia propria identità di scrittore e al mio passato che non riesco più a distinguere con nitidezza chi era personaggio del libro e chi persona reale partecipe della mia vita. Quarup è stato metabolizzato dalla mia memoria come se quegli eventi narrati fossero stati vissuti davvero, e oggi li vedo attraverso una sorta di nebbia che si addensa tra loro e l’ammontare degli anni di questo mio esilio europeo.
Lunga vita alla casa Quarup italiana e buona fortuna ai testi che per le vostre mani conosceranno la misteriosa e miracolosa vita dei libri.
Con amicizia, Julio Monteiro Martins