di Camilla Pelizzoli, Bibliomania, 13 gennaio 2013
Genova è sfondo (e in parte anche protagonista) della storia del nostro narratore, raccontata attraverso gli episodi più importanti della sua vita: un’esistenza comune divisa tra lavoro, donne, calcio e attualità, eppure anche un’esistenza come quella di nessun altro.
Un mucchio di giorni così è un libro che rimane impresso per i suoi dettagli più che per la sua storia in generale. Non lo dico con accezione negativa, anzi: è la stessa natura episodica del romanzo a spingere il lettore a considerare ognuna delle cinque parti come un capitolo a sé stante, che solo alla fine si può ricollegare nel giusto modo ai rimanenti.
Questa sensazione, sicuramente, è data anche dai piani temporali sfalsati: le parti raccontano di momenti determinanti ambientati tra il 1995 e il 2012 (passando per il 2001, il 2007 e il 2009) ma l’ordine non è cronologico. Il lettore, quindi, ha una prospettiva molto particolare sulla vita del nostro narratore, e proprio questa possibilità gli permette di cercare negli avvenimenti futuri conferme (o smentite) di ciò che abbiamo letto sul passato del protagonista, e di renderci conto, passando agli avvenimenti passati, di come si è arrivati a certe situazioni future – talvolta con la speranza che ci possa essere un cambiamento, o la voglia di dire al narratore di godersi il momento e la gioia che sta vivendo, perché non sarà eterna.
Mi è piaciuta molto questa impostazione e trovo sia stata sfruttata nella giusta maniera: in particolare, mi ha colpito un certo colpo di scena (di cui ovviamente non vi parlerò) davvero inaspettato, che mi ha costretta a leggere l’ultimo capitolo accompagnata da emozioni che decisamente non pensavo di provare, quando ho cominciato il libro.
La vita del nostro protagonista non è stata facile e non è per nulla rosa e fiori. Pur non indulgendo in patetismi vari, l’autore riesce a rendere la sensazione di tristezza, vuoto e “non-appartenenza” del narratore, insieme ai suoi momenti di gioia ritrovata, o inaspettata.
E’ un romanzo introspettivo che si rivela attraverso la narrazione di fatti quotidiani, come una partita di calcio, un incontro che può far sbocciare qualcosa di più, un impegno familiare, oppure anche attraverso fatti eccezionali, come il G8 (il romanzo è ambientato a Genova, che ha uno spazio speciale in questo libro); e si svela anche attraverso le scelte stilistiche dell’autore, mediante la narrazione in prima persona che a tratti assume quasi la forma del flusso di coscienza, passando da un argomento all’altro come succede nei nostri pensieri: a volte con leggerezza, a volte viscosi. Scivolando tra un ricordo e l’altro, scopriamo man mano il passato del protagonista, spesso sorprendendoci, sempre sviluppando empatia verso il narratore.
Calvisi usa uno stile piano, semplici, dal lessico espressivo ma senza slanci lirici – perfetto, secondo me, per quello che mi è sembrato fosse il suo intento. E’ adatto alla psiche del personaggio ed è evocativo proprio perché non si sforza troppo per esserlo.
Tuttavia, pur avendo tutti questi pregi, credo che ci sia ancora del potenziale inespresso in questa storia e, in parte, nello stile di Calvisi. Come dei fili che, se tirati, avrebbero dato una marcia in più al libro… Un peccato, ma d’altronde non so nemmeno se definirlo come vero e proprio difetto. E’ una mia sensazione, che mi ha accompagnata nel corso della lettura.
In conclusione, il romanzo di Calvisi è molto particolare, riflessivo eppure legato ad avvenimenti concreti, realistici. Non credo possa piacere a tutti, in particolare per lo stile di cui ho parlato; però, visto che per me è stata una bella scoperta, ho deciso che mi terrò informata sui futuri libri di questo autore!
“Io mi rannicchio in un angolo. L’amico non si inclina più. Non trovando il mio sostegno comincia ad oscillare, destra e sinistra più frequentemente, talvolta avanti e indietro. Rannicchiato nel mio angolo, mi lascio andare. L’eterno riposo dona loro signore, donalo a ognuno, un po’ meno a mio padre. Sveglialo se dorme e ricordagli le cose che ci siamo persi. Non un tormento, signore, Solo una seccatura ogni tanto. Solo un pensiero notturno che ti giri nel loculo e fai fatica a riprendere sonno.”
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